saec. VI
Sotto il nome di Anonymus Valesianus Henri de Valois pubblicò, nella sua edizione di Ammiano Marcellino del 1636, due narrazioni distinte: la prima tratta della vita dell’imperatore Costantino, la seconda di Teoderico e del suo regno. Che le due parti non avessero nulla in comune se non il fatto di essere state ritrovate nello stesso volume fu riconosciuto già dal primo editore, anche se non mancarono in seguito i tentativi di attribuirle a un unico autore: per tale motivo Moreau, che ne ha curato l’edizione nella Bibliotheca Teubneriana, preferisce utilizzare il titolo di Excerpta Valesiana, evitando l’ambiguo Anonymus Valesianus, pur comunemente utilizzato dagli studiosi.
La prima parte è ritenuta opera di un autore vissuto prima che il cristianesimo diventasse religione ufficiale, dal momento che non fa menzione dei provvedimenti costantiniani favorevoli ai cristiani, su cui poi gli autori successivi a Eusebio si sono in genere soffermati come motivi di lode di Costantino.
Per gli Excerpta Valesiana pars posterior, il fatto che la trattazione verta precipuamente sugli avvenimenti del regno ostrogotico fa presumere che l’anonimo compilatore sia di origine italica, molto probabilmente dell’Italia del nord (si propende per considerarlo ravennate, data la conoscenza dell’edilizia cittadina e la vicinanza ad alcuni passi del Liber Pontificalis di Agnello Ravennate, ma è stata proposta anche un’origine veronese). L’evidente cambio di atteggiamento che viene mostrato nei confronti di Teoderico a partire dal cap. 79 ha però fatto pensare ad alcuni studiosi, tra i quali Moreau, che la narrazione sia opera di due diversi autori, uno per la parte relativa alla prima fase del regno teodericiano e uno per gli anni successivi, decisamente ostile al re. Tuttavia, studi linguistici (Adams, ma cf. le limitazioni di Bracke) e storici (vd. ad esempio Barnish e Tönnies) hanno persuasivamente dimostrato l'unità del testo: il deciso e netto cambiamento di tono non deve essere attribuito a un autore diverso, bensì a una duplicità di valutazione dell'anonimo compilatore, il quale ha voluto separare nettamente il giudizio sull'operato politico del re dal suo atteggiamento religioso, che ha finito per portare a una contrapposizione con parte del Senato e con Bisanzio (Koenig).
Entrambe le narrazioni costituenti l’opera definita Anonymus Valesianus sono giunte su un codice del IX secolo contenente opere storiche, proveniente dall'Italia (molto probabilmente da Verona) e conservato prima a Metz, dove vi fu portato dal vescovo Raterio, e successivamente a Parigi, nel collegio gesuita dei Claromontani. Prima del 1764 il codice fu diviso in due volumi: infatti, in un catalogo della biblioteca pubblicato in quell'anno le due parti si trovano catalogate ai numeri 627 e 680. L'indice del manoscritto n. 680 descrive un “Codex membranaceus in 4° minori (constans foliis 75) saec. IX exaratus. Ibi continentur: I. Isidori Hispalensis historia Gothorum, Vandalorum et Suevorum. II. Anonymus de gestis Constantini Magni. III. Excerpta ex chronicis incertis de rebus Zenonis et Anastasii imperatorum nec non Theoderici regis. IV. Excerpta ex aliis chronicis de rebus Iustiniani et Francorum usque ad Carolum Martellum”. Acquistato in seguito ad un'asta dall'olandese Johannes Meermann (codex Meermannus 794), dopo la sua morte questo codice di 75 pagine entrò a far parte della biblioteca del collezionista inglese Sir Thomas Phillipps (codex Phillippsianus 1885) ed è attualmente conservato a Berlino, nella collezione Phillipps della Biblioteca Statale (Berolinensis). I chronica Theodericiana sono tràditi anche dal Vaticano-Palatino Latino 927, codice del XII sec., redatto nel monastero di Monte Oliveto presso Verona. Anche il codice Palatino reca una miscellanea di opere storiche, ma non comprende l’origo Constantini imperatoris. Dunque la parte costantiniana non doveva essere compresa nel corpus originario, bensì scritta per riempire i fogli vuoti di un quaternione non dallo scriba che ha redatto le restanti parti del corpus, ma da un altro amanuense di poco posteriore (Cessi). Per quanto riguarda i rapporti tra i due codici, Mommsen riteneva il Palatino derivato dal Berolinensis per il tramite di un esemplare oggi perduto descritto intorno all’843 dal Berolinensis, dal momento che il Palatino riporta le interpolazioni del Berolinensis. Ma dove il Palatino omette luoghi tràditi dal Berolinensis o, in luogo dei passi omessi, deriva da Iordanes, il correttore del Berolinensis indica con una croce (+) le discrepanze rispetto al codice utilizzato per il confronto. Da ciò Moreau ricava che il correttore del Berolinensis abbia avuto di fronte un libro a quello assai simile, poi trascritto dallo scriba del Palatino. Pertanto, il Palatino deriva non da un codice di poco posteriore e assai simile al Berolinensis, bensì da un libro perduto scritto poco dopo l’843, che non recava i luoghi omessi dal Palatino, dal momento che il correttore del Berolinensis ha utilizzato un esemplare di quella classe di libri. Quindi dal perduto libro A derivano il Berolinensis e C, anch’esso perduto, da cui deriva il Palatino e che è stato tenuto presente anche dal correttore di B. [S. Rota]