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Anicio Manlio Torquato Severino Boezio, il più grande filosofo della tarda antichità, nacque nel 475-477 a Roma da nobile famiglia: Il padre era stato prefetto e console nel 487. Dopo la morte del padre fu educato dallo storico Quinto Aurelio Simmaco, che Boezio ricorda con affetto nel De consolatione philosophiae, e di cui sposò la figlia Rusticiana.
Iniziò la sua attività all’incirca nel 500 occupandosi soprattuto del quadrivio: De institutione arithmetica, De institutione musica, De institutione geometrica, De institutione astronomica; è significativo, in prospettiva neoplatonica, che Boezio nasca, letterariamente, come aritmologo; alla sua opera matematica si ricollega la sua teorizzazione musicale. Essa ebbe enorme fama nel medioevo e lo segnò fortemente sia dal punto di vista dei contenuti, sia dal punto di vista della terminologia che, a causa dell’egestas linguae, richiese a Boezio un notevole sforzo di invenzione lessicale per tradurre in latino i concetti della speculazione greca (Garrido Domenè 2018). Fonti dell’opera geometrica e astronomica sono rispettivamente Euclide e Tolomeo.
Al 508 risale il primo commento all’Isagoge di Porfirio, manuale di introduzione alla logica assai diffuso. Come consueto per un intellettuale del mondo tardo antico, viaggiò in Oriente, per poi tornare in Italia e percorrere il cursus honorum. Teoderico iniziò a interessarsi al giovane letterato, che divenne prefetto di Roma, prefetto del pretorio per l’Italia e nel 510 fu nominato console sine collega ed entrò in senato.
Boezio iniziava intanto il suo ambizioso progetto di scrittura che prevedeva la traduzione integrale in latino delle opere di Aristotele e dei dialoghi di Platone con l’intento di mostrarne le consonanze; il piano, troppo ambizioso, finì per limitarsi alle opere logiche: Boezio tradusse le Categorie e iniziò a lavorare sull’Organon. Seguirono il commento agli Analytica priora, il trattato De syllogismis categoricis, il De divisione; il commento al De interpretatione, la traduzione degli Analytica posteriora, il De hypoteticis syllogismis. L’approccio traduttivo di Boezio mira alla massima accuratezza nella resa dell’originale, tale da rendere la traduzione potenzialmente sostitutiva del testo greco senza significative perdite di senso (Gazziero 2017).
Dal 518 traduce e commenta i Topica di Aristotele e commenta l’omonima opera di Cicerone. In questi anni il suo interesse si rivolge alla teologia: De trinitate; Utrum Pater et Filius et Spiritus Sanctus de divinitate substantialiter praedicentur; Quomodo substantiae in eo quod sint bonae sint, cum non sint substantialia bona. Non si tratta tuttavia di un filone del tutto distinto: anche i trattati di carattere religioso sono caratterizzati dal forte ricorso alla logica aristotelica più che dal ricorso all’auctoritas della Bibbia e alla tradizione dei Padri, e per questa ragione costituiscono un’anomalia rispetto alle forme di argomentazione teologica tradizionale; il tema della ragione è sempre prevalente rispetto a quello della fede (Hankey 2017-2018), e anche per questo motivo furono un tempo revocati in dubbio, finché Usener pubblicò l’Anecdoton Holderi, testo del sesto secolo che li attribuiva con certezza a Boezio. Oggi le tracce di paganesimo nell’opera di Boezio sono riconosciute e accettate dalla critica (Polara 2016).
Nel 521 traduce il De sophisticis elenchis e compone il De differentiis topicis. L’anno successivo, in cui diventano consoli i suoi due figli, scrive per Teoderico un discorso di ringraziamento. Abbandona frattanto Roma per Ravenna, Verona e Pavia, col cui vescovo Ennodio è in rapporti piuttosto stretti di amicizia, talora litigiosa (Ferrarini 2018). Qui si ritrova implicato nella difesa del Patrizio Albino, accusato di complotto contro Teoderico su istigazione dell’imperatore d’oriente Giustino; ma il magistrato Cipriano estende le accuse, sedizione e uso di magia, a Boezio stesso, costretto a difendersi dall’accusa di stregoneria come secoli prima Apuleio (Fournier 2011), ma con meno fortuna. Nel 523 Boezio viene dunque imprigionato in attesa di giudizio a Pavia. Qui inizia a scrivere la sua opera più famosa, il De consolatione philosophiae, un prosimetro con alternanza regolare tra poesia e versi. Il Senato lo giudica colpevole e lo condanna a morte e alla confisca dei beni. Teoderico ratifica la condanna senza dare udienza a Boezio, che viene giustiziato nel 525. [M. Manca]