saec. III
Le esigue notizie pervenute su Cornelio Labeone ne fanno un autore misterioso, variamente datato dagli studiosi: talora nel I o nel II secolo d.C., oppure, più realisticamente, nel III secolo d.C.; si tratterebbe, in quest’ultimo caso, di un discepolo della scuola neoplatonica, fiorente appunto nella seconda metà del III secolo d. C., e per molti versi accostabile all’allievo di Plotino, Porfirio, vissuto a Roma fra 263 e 305 d. C., come induce a pensare la condivisione da parte dei due intellettuali di temi e di aspetti dottrinali comuni.
Della produzione di Labeone, che doveva essere assai ampia, si possono citare con sicurezza solo quattro opere: De fastorum libris, in cui doveva prevalere l’interesse antiquario e il desiderio di preservare materiale della tradizione religiosa romana dai feroci attacchi dell’apologetica cristiana; De disciplina etrusca, in cui si tentavano di adattare al mutato contesto storico e sociale i testi divinatori etruschi, valorizzando soprattutto la mantica e la cresmologia; De diis animalibus, in cui si cercava di coniugare la religione tradizionale romana con elementi cultuali di origine orientale, nel tentativo di sostenere il culto tradizionale pagano attraverso contenuti rinnovati; De oraculo Apollinis Clarii, in cui forse si elaborava un commento teologico e filosofico a una raccolta di oracoli di impronta monoteistica e sincretica, provenienti dal santuario di Klaros, celebre per la sua influenza nell’intero bacino mediterraneo. I contenuti di quest’ultima opera sono forse accostabili al trattato di Porfirio sulla Filosofia degli oracoli, ma non mancano punti di contatto fra il De oraculo Apollinis Clarii e le restanti composizioni di Labeone, incentrate sull’astrologia o sulla divinazione etrusca. Tra l’altro si è sostenuto che nell’opera si cercasse di inglobare il dio degli Ebrei, rinominato Iao, all’interno del sistema olimpico
Attraverso la sua produzione Labeone operò un salvataggio del materiale antiquario, proveniente da autori della tradizione romana, quali Catone, Varrone, Verrio Flacco, che in seguito sarebbe stato utilizzato da Macrobio, Servio, Giovanni Lido. Si è talora supposto che i versi orfici, riportati da Macrobio nel primo libro dei Saturnali possano risalire a Labeone; così pure si è ipotizzato che Labeone sia stato fonte intermedia fra Porfirio e Arnobio, ma si è anche, più prudentemente, postulato che l’autore cristiano abbia desunto da Labeone solo pochi spunti dottrinari. Non v’è dubbio che Arnobio, come Sant’Agostino e, in generale, i Padri della Chiesa, non mancò di criticare Labeone, in quanto esponente del paganesimo. [G. Vanotti]