saec. IV (dub.)
Sotto il nome fittizio di Ditti Cretese si cela un autore greco vissuto alla fine del I secolo d.C., o agli inizi del II, che, secondo gli studiosi, apparteneva verosimilmente al movimento letterario conosciuto come “Seconda Sofistica” (cf. Huhn-Bethe 1917, Eisenhut 1968, che propongono tale datazione basandosi sia sullo studio di analogie contenutistiche e culturali tra l’opera di Ditti e l’Heroikòs di Filostrato, sia sull’osservazione dei dati materiali ricavabili dai papiri della redazione greca di Ditti). La tradizione ci ha trasmesso solo parzialmente, attraverso frustuli papiracei rinvenuti in Egitto, la versione originale di una sua operetta in prosa. Di essa ci rimane invece la traduzione in latino, redatta da un non meglio identificato Lucio Settimio, col titolo Ephemeris belli Troiani, databile al IV secolo. L’opera offre una versione alternativa alla narrazione omerica, ponendosi nella prospettiva di un eroe greco che partecipò alla guerra di Troia.Il personaggio di Ditti, a differenza di Darete, autore di un resoconto filotroiano della guerra di Ilio, non ci è altrimenti noto, in quanto non è tratto dai poemi omerici e non è presente nella tradizione epica con caratteri preesistenti. La sua fisionomia viene creata ex novo nella Praefatio e nel Prologus, tramandati da due rami diversi della tradizione manoscritta ed entrambi anteposti dagli editori moderni al testo dell’Ephemeris. Oltre alla narrazione in essi contenuta, le notizie in nostro possesso sulla figura di Ditti risalgono agli autori bizantini, che lo presentano sempre come scrittore di un diario della guerra di Troia, denominato Ἐφημερίς, o, più raramente, Ἐφημερίδες o ῥαψωδίαι.Le testimonianze in nostro possesso, raccolte da F. Jacoby, FGrHist 49, ci offrono concordemente questo ritratto di Ditti: proveniente dalla città di Cnosso nell’isola di Creta, fu contemporaneo degli Atridi (isdem temporibus, quibus et Atridae fuit: Prol. p. 2 Eisenhut = FGrHist 49 T 4), combatté nella guerra di Troia agli ordini del re di Creta, Idomeneo, e di Merione figlio di Molo, che gli ordinarono di scrivere un resoconto della guerra di Troia (a quibus ordinatus est, ut annales belli Troiani conscriberet: ibidem). Era buon conoscitore della lingua e dell’alfabeto fenicio, in cui redasse su tavole di tiglio il suo diario. Egli stesso, in una sorta di sphraghìs a conclusione del libro V (cap. 17) della versione latina, sostiene di aver riferito i fatti di cui era conoscenza in alfabeto fenicio e di aver affrontato coraggiosamente tutte le situazioni che gli si presentavano in guerra. Raccontando i nòstoi degli eroi greci nelle rispettive patrie, a proposito delle vicende di Neottolemo dichiara di aver appreso dall’eroe stesso gli avvenimenti che consegna ai posteri (haec ego cuncta ab Neoptolemo cognita mihi memoriae mandavi: VI, 10). Sempre per sua dichiarazione apprendiamo che, l’anno successivo al suo ritorno a Creta, contribuì a risolvere una terribile e distruttiva invasione di cavallette (VI, 11). Nelle fonti si dice inoltre che, prima di morire, egli si raccomandò che le tavole del suo diario, custodite in una cassetta di stagno, fossero sepolte con lui. Tuttavia un terremoto, verificatosi durante il tredicesimo anno del regno di Nerone (in Malala V, p. 250 = FGrHist 49 T 2 c si parla di Claudio, probabilmente per una svista), fece riemergere il suo sepolcro e le sue tavolette che, giunte sino all’imperatore, vennero da lui fatte traslitterare in caratteri greci e riposte nella biblioteca greca. [G. Bessi]