saec. IV ex.
Della vita del Dositheus (PLRE I Dositheus; RE s. v. 8. Dositheus magister; Neue Pauly s. v. Dositheus) sotto il cui nome è giunta fino a noi una Grammatica latina con traduzione interlineare in greco non si sa nulla di certo, eccetto le poche informazioni ricavabili dalla sua opera e dal confronto tra essa e gli altri testi grammaticali tardoantichi. L’inscriptio della Grammatica lo identifica come magister, generica definizione che rimanda alla professione del grammaticus (Bonnet 2005, p. viii; Kaster 1988, pp. 443-446).
Per quanto riguarda la provenienza, il suo nome, la familiarità con la τέχνη γραμματική di Dionisio Trace e la padronanza del lessico tecnico greco denunciano la sua sicura origine orientale (Bonnet 2005, p. ix). In particolare, secondo Tolkiehn (1913, p. xii) Dositeo sarebbe originario dell’Asia minore, giacché nel capitolo 20 della Grammatica, dedicato ai nomi, «Afer, Dacus» viene tradotto come Φρύξ, Γαλάτης; in verità, come nota Guillaume Bonnet (2005, p. ix) potrebbe semplicemente trattarsi di una ripresa dall’opera di Dionisio (cfr. Dion. Thr. 14, p. 72 Callipo: Ἐθνικὸν δέ ἐστι τὸ ἔθνους δηλωτικόν, ὡς Φρύξ, Γαλάτης). Non sappiamo però se l’opera fosse rivolta a studenti greci che volevano imparare il latino (Bonnet 2005, p. x) o se le lezioni di Dositeo fossero tenute esclusivamente in latino per un pubblico latino (Ferri 2007, p. 129).
Molto discussa è anche la cronologia: la Grammatica fa parte di quel gruppo di testi grammaticali dipendenti dal cosiddetto “Gewährsmann der Charisius-Gruppe”, ovvero una perduta grammatica da cui avrebbero abbondantemente attinto autori come Carisio, Dositeo e l’Anonymus Bobiensis (Barwick 1922; De Nonno 1982, pp. xvi-xvii); inoltre, Dositeo recuperò molte informazioni dall’opera di Cominiano, autore di un’ars grammatica anch’essa perduta risalente agli inizi del IV secolo (Tolkiehn 1910, pp. 81-129; Bonnet 2005, p. xi). Nel testo leggiamo anche un capitolo de interiectione tratto interamente dall’Ars maior di Donato (Don. 931, 25-392, 3 Keil), che però non sappiamo se sia stato inserito da Dositeo o sia frutto di una aggiunta posteriore. Nel caso in cui si dimostrasse la genuinità della citazione, potremmo spostare il terminus post quem alla metà del IV secolo (Tolkiehn 1914).
Un passaggio del testo potrebbe consentire una datazione più precisa: nel già citato capitolo 20 trovano spazio anche i nomina ominalia, ovvero i nomi usati per la divinazione («quaedam ominalia, ut uitalis, saecularis, superstes»). Questo riferimento potrebbe avvicinare Dositeo agli ambienti della rinascenza pagana di IV secolo e collocare la realizzazione dell’opera nel periodo compreso tra l’impero di Giuliano l’Apostata e il 380-390 (Bonnet 2005, pp. xii-xiii). Questa conclusione è condivisa dalla critica, che è concorde nell’assegnare la grammatica di Dositeo alla fine del IV secolo.
Barry Baldwin (1976, p. 119) ha proposto in maniera dubitativa di identificare il Dositeo dell’ars con il destinatario di una lettera dell’imperatore Giuliano, la 200 Bidez («Giuliano a Dositeo. Una volta pronunciato il tuo nome sono stato sul punto di piangere, anche se ne avrei dovuto gioire: infatti, mi sono ricordato del nostro nobile e ammirevole padre. Se seguirai le sue orme, sarai felice e, come quello, darai all’umanità qualcosa di cui andrà fiera; se abbandonerai l’impresa, mi arrecherai dolore e te ne pentirai quando ormai non servirà più a nulla»).
Bidez (1924, p. 221) inserisce questa lettera tra le dubiae in quanto l’assenza di riferimenti alla vita di Giuliano e il contenuto piuttosto convenzionale la renderebbero più simile ad un esercizio di retorica che a un originale giulianeo. D’altra parte, come sostiene Robert Kaster (1988, p. 278), se anche la lettera fosse autentica, da essa non riusciremmo a ricavare molto sulla personalità di Dositeo. Il riferimento ad un “padre comune” (πατρὸς ἡμῶν) lo identifica come un compagno di studi di Giuliano, ma non sappiamo dove avvenne questa frequentazione: potrebbero essersi incontrati a Costantinopoli alla scuola di Nicocle di Sparta, o a Nicomedia, dove Giuliano seguiva di nascosto le lezioni di Libanio, o a Pergamo presso il filosofo Edesio di Mindo. Notiamo poi come l’imperatore gli consigli di seguire con zelo il maestro (ὅν εἰ μὲν ζηλώσειας), esortazione generale alla virtù che non implica un invito a dedicarsi all’attività di grammaticus.
In conclusione, come affermato da Bonnet (2005, p. xiv), «nous devons nous résigner à laisser la personalité de Dosithée dans la pénombre». [G. Cattaneo]