saec. II
Oscura e tormentata la vicenda di Granio Liciniano, storico – più che compilatore – e antiquario del II secolo d.C., vissuto presumibilmente in età post-adrianea: ignoto di fatto fino a metà dell'Ottocento, venne recuperato alla storiografia classica dalla fortunosa scoperta nel 1853 di suoi frammenti, individuati dall'orientalista Paul Boetticher (Boetticher 1854; Lagarde 1858) come scriptura ima del palimpsesto pergamenaceo bis rescriptus del British Museum BL. Additional 17212, proveniente dall'Egitto. In sintesi: una copia del V secolo di un'opera storica di Granio Liciniano, stesa in Italia su due colonne in piccole ed eleganti lettere onciali, era stata sovrascritta da un trattato grammaticale latino nel VII secolo, a sua volta eraso e sovrascritto nel Vicino Oriente da una traduzione siriaca delle Omelie di Giovanni Crisostomo (X secolo).
Sconsideratamente e spregiudicatamente poi sottoposti a idrosolfuro di ammonio (NH4S4) da George Heinrich Pertz, direttore dei Monumenta Germaniae Historica e sostenitore di questo micidiale reagente, e dal figlio Karl (il primo trascrittore e inesperto editore nel 1857, anche se aiutato da Jacob Bernays e Theodor Mommsen), i tredici fogli vennero gravemente danneggiati e resi inutilizzabili: gli editori seguenti (Heptas 1858; Camozzi 1900; Flemisch 1904: e Criniti 1981, dopo il riesame ai raggi ultravioletti nel 1972 e la conferma della paleografa Mirella Ferrari sull'illeggibilità del testo) dovettero servirsi soltanto del non sempre accurato, ordinato e corretto apografo.
Praticamente nulla sappiamo di Granio Liciniano (nomen e cognomen sono stati letti con chiarezza sul codice), neppure il praenomen (fantasiosamente restituito dai Pertz in 'Gaius'), né tantomeno della sua storia, fatta salva la generica appartenenza a un'antica gens plebea originaria dell'ager Campanus (Pozzuoli) e diffusa poi a Delo e a Roma: indeterminabile l'eventualità che fosse un Licinius adottato da un Granius, come il cognomen suggerirebbe.
Letterato di buona cultura, fors'anche un ludimagister (lo stile pedante, a volte banale della sua opera potrebbe esserne un signaculum), ha goduto di ben poche citazioni negli autori antichi: due certe, tardoantiche – Servio, Aen. 1, 737, sul rapporto donne/vino, con rinvio a una sconosciuta sua opera conviviale, Cena, su uno schema affermatosi con Aulo Gellio; Macrobio, Sat. 1, 16, 30, a proposito delle nundinae Iovis, con rinvio al «liber secundus» di una sua opera antiquaria, la precedente o un'altra (Fasti?: Criniti 1993, 183-184) –; due meno certe, ma probabili (Criniti 1981, XII; 1993, 145-146, 184), di Solino, Collectanea 2, 12 e 40, sempre su questioni eziologico-religiose antiquarie riguardanti la Messapia e la Calabria.
Spesso identificato o confuso nell'Ottocento – a partire dal primo editore – col giurista tardorepubblicano Granio Flacco, studioso del diritto pontificale (indigitamenta), cui lo avvicinavano gli interessi antiquario-religiosi, ma con cui nulla ha da spartire (Criniti 1981, XIII ss.; 1993, 151 ss.), tramutato addirittura in un ibrido Granio Flacco Liciniano d'età tardo-repubblicana, riacquistò una sua fisionomia personale solo con gli editori del primo Novecento, senza tuttavia che ne sia stata possibile una qualche migliore ricostruzione: c'è ancora chi – sulla falsariga di Comparetti 1858 – parla sic et simpliciter di un Licinianus, con proposte identificative perlomeno singolari, ad esempio col letterato spagnolo d'età adrianea e amico di Marziale.
Anche la sua collocazione alla metà del II secolo d.C. – accettata quasi coralmente a partire da Linker 1858 (addirittura «più giovane di Floro» secondo La Penna 2015, 3), dopo l'ipotesi tardorepubblicana di K. Pertz e quella tardoimperiale di J. N. Madvig 1857 – ha suscitato a volte dubbi, privi di fondamento, purtuttavia basati sull'incertezza stessa della persona: non pare si possa discutere il riferimento alla dedicatio del tempio di Giove Capitolino in Atene (Olympieion) da parte dell'imperatore Adriano nel 131-132 (Reliquiae XXVIII, 13) quale data post quem. (N. Criniti)