non ante saec. IV
Il nome di Lattanzio Placido (da qui LP) è legato al commento della Tebaide di Stazio e del primo libro della Achilleide, di cui è ritenuto da buona parte dei filologi moderni essere l’autore. Nel ms. Monacensis 19482 (M) del X secolo proveniente dall’abbazia di Tegernsee che contiene il commento a Stazio si legge nell’incipit Celii firmiani placidi Lactancii expositio in thebaidem Stacii. Questa tradizione manoscritta, presente in pochi mss. oltre a M, dipende probabilmente per una «ipotesi metodicamente accreditabile» (Brugnoli 1988, 13) dal testo di una glossa che si legge a Theb. 6, 364 secondo il testo dell’editore R. D. Sweeney MVNDO SVCCINCTA LATENTI … sed de his rebus, prout ingenio meo committere potui, ex libris ineffabilis doctrinae Persei praeceptoris seorsum libellum composui [caelius Firmianus] Lactantius Placidus.
Pochi anni prima dell’edizione di Sweeney del 1997, Giorgio Brugnoli con il suo Identikit di Lattanzio Placido. Studi sulla scoliastica staziana (Pisa 1988), che ha determinato in seguito il lemma da lui composto su LP nella Enciclopedia Virgiliana (1991), ipotizza, quasi si trattasse di un noir sull’identità di LP, la possibilità altissima che l’archetipo ω fosse anepigrafo e che questa labilità autoriale fosse sentita in tutto il suo peso anche nei codici umanistici, che dell’epigraficità avevano fatto quasi una ragione di culto. Egli ipotizza così una «intrusione congetturale» (Brugnoli 1988, 18) del nome Cecilio Firmiano Lattanzio dell’apologista cristiano d’Africa in un passo quale è la quaestio de antipodis ivi accennata, che ha rappresentato un locus di notevole importanza ai sensi della dottrina cristiana (Brugnoli 1988, 42, ma Setaioli 1995, 184-185). All’audace, ma filologicamente congruente stimolo prodotto dal volumetto di Brugnoli hanno poi fatto seguito la nuova edizione di LP di Robert Dale Sweeney (1997), impostata su un suo precedente saggio Prolegomena to an Edition of the Scholia to Statius del 1969, l’articolo di Ètienne Wolff (2010), che affronta di nuovo il problema della patria e della datazione di LP, e l’attività di ricerca di un gruppo di filologi del Dipartimento dell’ateneo perugino (Carlo Santini; Luca Cardinali; Antonella Arena).
Le due edizioni teubneriane del testo di LP, pubblicate all’incirca ad un secolo di distanza (Richard Jahnke, Lipsiae, 1898; Sweeney, Stutgardiae et Lipsiae, 1997), dopo l’editio princeps di Bonino Mombricio (1478?) e l’editio Tiliobrogiana (1600) di Friedrich Lindenbrog, alla quale si è accompagnato un coacervo di studi e indagini filologiche tra le quali la editio Barthiana del 1664 (sulla quale è tornato nel 2013 Valéry Berlincourt con un importante saggio monografico) per varie ragioni non hanno corrisposto alle aspettative della critica. Non potrà dunque essere eluso sine die il compito di una nuova edizione che delimiti correttamente il testo tardo-antico dagli additamenti medievali e umanistici, come ha cominciato a fare Harald Anderson (2009, XXIV-XXVI), che ha distinto la presenza di tre differenti commenti alla Tebaide di Stazio, quello di LP che risale a prima del quinto secolo, il cosiddetto commento in principio dell’undicesimo / dodicesimo secolo e il commento Arundel-Burney del dodicesimo / tredicesimo secolo, mentre il commento di LP all’Achilleide sembra essere stato composto solo nel nono secolo a giudizio di R. Jakobi (1997, 305-315).
Una nuova edizione dovrà rispettare, per quanto possibile, la sequenza dei pensieri del glossatore originario in accordo con i versi del testo di Stazio: il commento di LP infatti nacque come commento a sé stante e verosimilmente indipendente dalla Tebaide, di cui riportava soltanto i lemmi, e fu poi smembrato «innumerabilibus modis» per corrispondere al testo del poema, per essere successivamente ricomposto in età carolina–ottoniana, come nel caso del manoscritto Monacensis (M), oppure trascritto come glossa ai margini del testo staziano. Si dovrà anche tener conto dei passaggi di scrittura, che implicano l’uso della minuscola insulare che sostituisce quella originale e poi, nell’intervento del restauro, quello della carolina (Sweeney 1997, IX). Tutto ciò richiederebbe un senso della lingua latina e un esprit de finesse filologica molto superiore a quello di cui ha dato prova Sweeney nella sua edizione (Santini 2013, 219-220; 2014; Cardinali 2014, che esprime la necessità di arrivare almeno ad una revisione critica dell’edizione Sweeney).
Tutto ciò premesso, sembra opportuno in primis chiedersi fino a che punto gli scolii della Tebaide abbiano a che vedere con LP. Il poema di Stazio dovette fruire di opere che ne interpretavano il testo e ne favorivano la lettura, ma non ne abbiamo che scarse tracce nella storia delle lettere latine almeno fino a dopo Girolamo, che nel ricordare puntigliosamente al suo antagonista Rufino il cursus di classici letti a scuola evita di fare il nome di Stazio (forse per motivi di opportunità morale?), mentre proprio con Servio all’inizio del quinto secolo la Tebaide comincia la sua inarrestabile e trionfante carriera presso la scuola. A prescindere dall’ipotesi tutt’altro che inconsistente che proprio il commento serviano abbia contribuito in modo determinante con la sua autorevolezza a porre la Tebaide nell’empireo di quelli che nel Tardo-Antico e nel Medioevo furono definiti gli auctores idonei e poi regulati, resta aperto il problema della reale esistenza fisica di un LP, autore di un commento al poema di Stazio. Io credo, come Cardinali, che essa debba essere sostenuta proprio per «la progressiva riduzione dell’ampiezza degli scolii, il che fa pensare all’opera di un unico estensore» (Cardinali) , ma che non risulti per questo esclusa la possibilità della stratificazione di annotazioni provenienti dalle explanationes ante-LP, la cui esistenza sembra garantita dal ricorso ad alcune tematiche come la ricorrente visione neoplatonica dell’astronomia, il mitraismo e l’interesse per la società persiana.
Proprio tale carattere mobile, erratico della glossa staziana rende difficile fissare per LP specifici ancoraggi di eventi storici, così come risulta chiaro dalla distanza tra il testo di Jahnke, che usa sullo stesso livello di M codici troppo tardi, e quello di Sweeney. L’identificazione cronologica di LP è stata quindi fatta oscillare dalla fine del quarto alla metà del sesto secolo: Paul Van de Woestijne (1950), notando da un lato la citazione nell’apparato di Jahnke di un verso del De consolatione philosophiae di Boezio, che è la sicura interpolazione di un ms. tardo, e contestualmente l’assenza di riferimenti a Stazio (e quindi a LP) da parte di Girolamo nell’Ad Rufinum, ha supposto che LP sia da collocare tra Elio Donato e Servio. Le congruenze con Servio parrebbero indipendenti, e almeno in un caso sono rovesciate (Van de Woestijne, 163), il che vale a dire ammettere la dipendenza di Servio da LP. L’opinione, che si era successivamente avvalsa dell’implicita adesione di Sweeney (1997, VII), risultava in contrasto con quanto ammesso da Gino Funaioli nel 1915 (= 1930, 476-477) e successivamente era stata criticata da Brugnoli (1991, 138), e da ultimo contestata da Santini cui era apparsa infondata (2010, 428).
Wolff in tempi recenti ha invece formulato l’ipotesi che LP sia stato attivo in «une fourchette comprise entre 410 (ou un peu plus tard si l’on descend Servius dans le temps) et 468» (2010, 428), ma le sue argomentazioni appaiono poco convincenti, in quanto alcune sono condizionate dal valore seriale e quindi acronico che viene assolto dalla glossa in sé (il formalismo dello scolio può assorbire materiali di qualsiasi fonte: possiamo richiamare la tesi di Jakobi - 2004, 14 - convinto che il corpus di scolii alla Tebaide di un grammaticus anonimo sia stato «fälschlich» attribuito a LP, che probabilmente fu un seguace neoplatonico del culto mitraico, prima che fosse proibito a Roma nel 392); altre, invece, per lo specifico significato di indizio cronologico assunto, come la voce unna straba, dovrebbero contribuire a spostare l’ago della bilancia post mortem di Attila (453) o addirittura, come nel caso di Riphaeus mons Thraciae, fissare «un terminus ante quem, anche se piuttosto alto, costituito dalla riforma giustinianea del 535/536» (Cardinali), il che equivale a fondare i limiti di LP nel sesto secolo, così come già sostenuto da Alfred Klotz (1908, 524), ma con una migliore consapevolezza della situazione dello stemma codicum di quanto non fosse stato consentito all’editore tedesco agli inizi del XX secolo.
E tuttavia, fermo restando l’apprezzamento per il modo con il quale Cardinali ha risolto la questione della cronologia di LP, e la mia coincidente valutazione del problema linguistico dell’avverbio (Santini), che ci avvicina alle Institutiones Grammaticae di Prisciano, questa non può trovare, a mio giudizio, una sanzione definitiva nel solo ambito della tradizione manoscritta diretta, perché resta pur sempre valido il discorso di richiami precedenti di scoliasti, di cui è LP stesso a riconoscere la esistenza e la vitalità, che possono aver influenzato la glossa staziana, soprattutto nei casi in cui LP presenta una lezione autonoma, che non troviamo in nessun ms. della Tebaide, o, ancora più spesso, quando si accorda con un ramo della tradizione contro l’altra.
Il fantasma del materiale esclusivamente medievale del commento al poema staziano evocato da von Wilamowitz (1899, 601) e esorcizzato da Klotz non è ancora morto, se teniamo a mente quanto pensa Jakobi di LP, ritenendolo il nome di un filosofo neo-platonico e non di un grammaticus, poi penetrato nel commento fino ad impadronirsene nell’evoluzione della tradizione manoscritta – per contro ad un’origine tutta medievale del commento all’Achilleide, o alle considerazioni di Alan Cameron, che è rimasto tanto colpito dal parere di Brugnoli, da ammettere che fosse riuscito a trovare la chiave del rebus, senza tuttavia riuscire a girarla nella giusta direzione (2004, 315-316).
Ancora più aleatoria risulterà la questione del luogo di nascita, o di composizione del commento, dove l’ipotesi italica di Funaioli, poi ripresa da Sweeney, è stata messa in dubbio da Cardinali perché «hic con valenza avverbiale in tutte le altre occorrenze in cui compare nel commento faccia riferimento al contenuto del testo commentato», anche perché la tipologia originaria degli scolii presupponeva che questi in quanto relativi alla explanatio appartenessero ad un ms. a sé stante e quindi implicassero la ricerca e la lettura del passo singolo nella Tebaide.
Problema quasi del tutto ignorato dagli editori è stato la ricerca sulla lingua e sullo stile di LP, che pure presenta alcune scelte raffinate, come le clausole metriche (Klotz 1908, 505-508), ma la cui presenza appare saltuaria, tanto da offrire occasione di valutazioni affatto divergenti e conclusioni analoghe. [C. Santini]