saec. III ex.
Mario Plozio Sacerdote è l’autore della prima ars grammaticale di epoca tardoantica giunta fino a noi quasi integralmente. Purtroppo, però, molto poco sappiamo della sua biografia tanto che anche il suo nomen gentilizio è stato oggetto di disputa: la preferenza è concessa quasi unanimemente alla forma Plotius, attestata negli incipit ed explicit dei manoscritti carolingi contenenti solamente il terzo libro, rispetto alla forma Claudius delle sottoscrizioni ai primi due libri conservati unicamente dal Neap. Lat. 2, probabile normalizzazione classicheggiante di un Clodius sorto per errore proprio da Plotius, (Dahlmann 1951, p. 603 sgg., Simoni 1988, p. 129 e sgg., e Orlandi 2001, p. 426). A banalizzazione è del resto da ricondurre, nello stesso Neapolitanus, anche il prenome M(arcus) per il sicuro Marius. Grammatico di fede pagana (GL VI 536, 13: di boni servate Sacerdotem vos colentem vos), non fu molto citato dai suoi colleghi. Alle più tarde menzioni di Pompeo (GL V 190, 24), Rufino (GL VI 565, 1-6 = 19, 19-20, 4 d’Alessandro) e Cassiodoro (GL VII 114, 8; 215, 25 e 216, 4), si affiancano le ben più importanti citazioni di Dositeo (GL VII 393, 12; 407, 17-19 e 413, 24) e dell’Ars Bobiensis (GL I 534, 34-37 = 4, 6-8 De Nonno). Esse dimostrano non solo che la loro fonte comune, il Gewährsmann del Gruppo di Carisio, ha conservato qualche contributo dottrinale di Sacerdote, ma anche che Sacerdote non può essere vissuto oltre il primo quarto del IV secolo, tanto più se si vuole identificare la fonte comune con Cominiano maestro di Carisio, suggestivamente proposto anche come allievo di Sacerdote, e il cui acme viene fissato intorno al 330 d. C. (Hantsche 1911, p. 12, e Schmidt 1993, p. 139). Più sicuro risulta comuqnue il terminus post quem che è dato dalla menzione del metricologo Iuba (GL VI 546, 7-8: quos pedes quidam faciunt dactylicos, primas duas breves ligatas pro longa accipientes, sicut praecipit Iuba metricus), che si considera coevo o di poco anteriore a Sacerdote (Sallmann 2000, p. 286), se non invece contemporaneo di Terenziano Mauro e quindi collocabile tra la fine del II e l’inizio del III secolo (Wentzel 1858, p. 17). Ulteriore indizio cronologico è fornito dalla menzione delle popolazioni barbariche dei Sassoni e dei Franchi (GL VI 474, 18 hic et haec Saxon huius Saxonis; GL VI 475, 8: barbara quaedam audivi Sicco Sicconis, Franco Franconis), con cui i Romani si scontrarono apertamente per la prima volta soltanto nella guerra mossa contro di loro da Carausio per conto di Massimiano intorno al 285/286 d. C. Sacerdote avrebbe dunque composto la sua grammatica dopo Iuba ma prima di Cominiano e quindi in un arco temporale compreso all’incirca tra il 280 e il 330, nel pieno dell’età tetrarchica. Se una tale collocazione cronologica è plausibile, ecco allora che Gaianus e Maximus, ricordati nella prefazione del terzo libro (GL VI 496, 5-497, 2) come dedicatari rispettivamente l’uno del primo e l’altro del terzo libro insieme a un tale Simplicius, andranno probabilmente visti, tra le varie identificazioni proposte data l’ampia diffusione di nomi così comuni, come i destinatari di alcuni rescritti di Diocleziano (Dahlmann 1951, pp. 604 e sgg.). Nulla sappiamo invece su dove e quando nacque Sacerdote. Ad ogni modo, l’indicazione per sua stessa ammissione di essere stato amico e quasi coetaneo di un membro dell’aristocrazia del tempo come Gaianus (GL VI 496, 7-8: virum clarissimum mihi contubernalem et aetate paene studiisque coniuctum Gaianum) ha fatto sospettare per l’autore un percorso simile a quello di molti altri grammatici dell’epoca: uomo di non nobili origini avrebbe cercato di entrare nelle grazie di figure altolocate dimostrando loro il valore educativo della sua opera grammaticale, ottenendo in cambio protezione e benessere personale (Kaster 1988, pp. 210 e sgg). Più incerta la possibilità che l’ascesa sociale di questo parvenu si sia conclusa con il ricevimento del titolo di clarissimus vir, come invece suggestivamente propone (Orlandi 2001), che identificherebbe Sacerdote con l’omonimo senatore, il cui nome e suddetto titolo sono stati rinvenuti incisi su un antico parapetto del podio del Colosseo per indicare il locus senatorio. Di fatto, la sola onorificenza conservata dalla tradizione manoscritta è quella, assai comune, di docens Romae presente negli incipit dei tre codici carolingi del terzo libro (il Marii Plocii Pontificis ac Sacerdotis Maximi nell’explicit di Valentin. N 5 1 è solo dovuto alla fantasiosa amplificazione, da parte del copista, del cognomen del grammatico. [Andrea Bramanti]