saec. IV
Nonostante la fama di cui Gaio Mario Vittorino godette nell’antichità e sebbene non manchino informazioni sul suo conto, i dati a disposizione riguardano tutti la fase più avanzata della sua vita, mentre niente è possibile ricostruire della sua giovinezza.
Come informa Gerolamo, Vir. ill. 101 (T. 3 M.), Vittorino, natione Afer, visse e insegnò retorica a Roma al tempo di Costanzo II, figlio di Costantino e Augusto dal 337 al 361; la cronologia è confermata dal riferimento di Vittorino stesso a Costantino come imperator imperatoris nostri pater in Adv. Ar. II 9 (PL VIII 1096, 3-4). Contemporaneo e collega di Donato (Holtz 1981, 16-17), fu titolare della cattedra pubblica di retorica ed ebbe tra i suoi allievi numerosi senatori, la cui identità resta tuttavia ignota. In virtù della sua attività di rhetor urbis Romae (Aug. Conf. VIII 2, 3 = T. 6a M.) raggiunse una celebrità tale da meritare l’onore di una statua nel foro di Traiano, eretta nel 354 (Hier. Chron. a. Abr. 2370, 354 p. Chr. = T. 2 M.); probabilmente all’attività di retore si deve anche il titolo di vir clarissimus, presente nella tradizione manoscritta delle sue opere cristiane e di solito riservato ai membri dell’ordine senatorio. Senza che possiamo precisare se all’insegnamento della retorica abbia affiancato quello della grammatica, secondo una consuetudine antica (Mariotti 1967, 16-17), oppure se sia stato inizialmente e forse in Africa maestro di grammatica e più tardi di retorica (Holtz 1981, 221), in ogni caso ai fini dell’attività di scuola redasse l’Ars (per il De ratione metrorum, GL VI 216-228, in passato talvolta a lui attribuito, si veda ora D. Corazza, in digilibLT, s.v. Maxim(ian)us Victorinus).
A lungo pagano e fedele al mos maiorum, Vittorino si convertì al cristianesimo in extrema senectute, secondo quanto attesta ancora Gerolamo, Vir. ill. 101 (T. 3 M.). La data della conversione, avvenuta in modo spettacolare (Aug. Conf. VIII 2, 5 = T. 6a M.), è incerta: Hadot 1971, 27-29 propone di collocarla nel 356, e in ogni caso dopo il periodo in cui Vittorino raggiunse il massimo della notorietà a Roma come maestro di retorica. La sua fede cristiana gli impose di abbandonare la professione nel 362, quando un editto dell’imperatore Giuliano (361-363) proibì ai cristiani di insegnare nelle scuole pubbliche (Aug. Conf. VIII 5, 10 = T. 6b M.).
Le testimonianze fin qui esaminate permettono di definire in modo più preciso la cronologia della sua vita: dal momento che la composizione del già menzionato secondo libro Adversus Arium è sicuramente anteriore alla morte di Costanzo II (361), l’espressione in extrema senectute con cui Gerolamo indica l’epoca della conversione e che presso gli antichi designa un’età compresa tra i settanta e gli ottant’anni induce a ritenere che Vittorino sia nato tra il 281 e il 291 (Hadot 1971, 24-25). Morì dopo il 363 e sicuramente prima del 386, anno in cui Agostino era già venuto a conoscenza della sua morte da cristiano (Aug. Conf. VIII 2, 3 = T. 6a M.).
“Considérée dans son ensemble, l’œuvre a une signification historique : elle résume à merveille les goûts, les besoins et les aspirations contradictoires des lettrés du IVe siècle” (Monceaux 1905, 373). Retore, erudito e filosofo pagano, una volta divenuto cristiano Mario Vittorino si impegnò per conciliare dogma e filosofia. Prima della conversione, oltre che di grammatica e retorica si occupò anche di logica e si accostò specialmente al pensiero di Porfirio; tuttavia molto delle sue opere profane è ricostruibile solo per via indiretta oppure è andato perduto. Tanto l’Ars grammatica e il commento al De inventione di Cicerone, quanto le sue opere di dialettica, concepite come una sorta di Organon latino volto a rendere accessibile ai suoi allievi la logica di Aristotele, nacquero dalla sua attività di pedagogo. Nel solco della tradizione romana che fa capo a Cicerone, dialettica e retorica appaiono inscindibili nella sua produzione. Vittorino fu autore di una traduzione dell’Isagoge di Porfirio, parzialmente conservata nell’editio prima del commento di Boezio al medesimo testo (Brandt 1906, 1-132), e forse di una versione latina delle Categorie e del De interpretatione di Aristotele (ma scettico in proposito si mostra Hadot 1971, 187-190). Allo studio della tradizione platonico-aristotelica si affianca l’esegesi più o meno direttamente legata ai Topica di Cicerone: il commento in quattro libri all’opera dell’Arpinate è in parte ricostruibile grazie all’uso che ne fecero Boezio, Cassiodoro e Marziano Capella; è pervenuto per via diretta il De definitionibus, mentre del De syllogismis hypotheticis si conserva il riassunto di Cassiodoro.
Agostino, Conf. VIII 2, 3 (T. 6a M.) attesta l’esistenza di libri Platonicorum che incisero in modo profondo sul suo spirito: l’espressione allude forse a traduzioni di testi plotiniani e porfiriani, ma tali opere restano di difficile identificazione. Hadot 1971, 215-231 suggerisce che al loro interno Vittorino avesse inserito citazioni di luoghi virgiliani interpretati alla luce del pensiero platonico, per mostrare l’esistenza di un’armonia tra questa filosofia e il poeta: di esegesi filosofica a Virgilio troviamo qualche esempio nei commentari paolini (in particolare in Eph. 2, 1-2, PL VIII 1253C-1254A, dove i versi di En. I 58-59 sono piegati a mostrare come tutti gli elementi siano riconducibili all’aria); inoltre certe interpretazioni virgiliane presenti in Favonio Eulogio, Servio e Macrobio, ispirate al neoplatonismo, mostrano analogie con le idee e il vocabolario di Mario Vittorino. Sembra invece da escludersi l’ipotesi avanzata da Bitsch 1911, 72-73 e accolta da Courcelle 1955, secondo cui il rhetor avrebbe composto un commento a Virgilio di impianto filosofico (per la presenza di Virgilio nella tradizione diretta si rinvia a Mariotti – Nazzaro 1990).
Risalgono al periodo cristiano della sua vita e in particolare agli anni tra il 358 e il 363 (Hadot 1971, 263-280) gli scritti contro l’arianesimo, con i quali difese l’ὁμοούσιος niceno e tentò, per la prima volta nel mondo latino, una conciliazione tra schemi neoplatonici e dottrina trinitaria cristiana. Vittorino compose anche tre Inni (di datazione incerta, forse anteriori alle altre opere teologiche) e fu il primo tra i latini a dedicarsi all’esegesi delle lettere di san Paolo: sono pervenuti, con qualche lacuna, i commentari a quelle agli Efesini, ai Galati e ai Filippesi (PL VIII 1145-1294). (M. Callipo)