saec. V; 435 Romae statua honoratus
Della produzione letteraria di Flavio Merobaude, poeta e oratore del V secolo d.C., non si conosceva nulla fino al 1823, quando sulla base di diversi indizi Barthold Georg Niebuhr ritenne di poter assegnare alla sua paternità le opere tràdite, senza nome dell’autore, senza titolo e in forma gravemente mutila, nella scrittura inferiore – una regolare ed elegante onciale molto antica, del V-VI sec. d.C. – di 8 fogli palinsesti collocati all’interno di un codice miscellaneo conservato nella Stiftsbibliothek di San Gallo con la segnatura 908. In effetti molti riferimenti contenuti in questi testi collimano con quanto si sa dell’autore da altre fonti, sicché tutti concordano con l’attribuzione sostenuta da Niebuhr. Lo stesso Niebuhr curò l’editio princeps nel medesimo anno, e una seconda edizione l’anno successivo.
Si tratta di frammenti: di quattro brevi carmi ecfrastici e d’occasione (databili fra il 441 e il 443), tre in distici elegiaci, il quarto in endecasillabi falecei; di un panegirico in prosa, con ogni probabilità specificamente una gratiarum actio, all’indirizzo di Aezio (di incerta datazione: le ipotesi degli studiosi oscillano tra il 438 e il 446); di un panegirico in esametri per il terzo consolato di Aezio del 446. Si crede che Merobaude abbia celebrato, forse in versi, anche il primo consolato di Aezio nel 432, ma di tale supposto panegirico nulla ci è giunto. Nel 1905 Friedrich Vollmer pubblicò una nuova edizione complessiva nei Monumenta Germaniae Historica, rimasta sino ad oggi l’edizione di riferimento. Del panegirico in prosa chi scrive ha pubblicato di recente una edizione con note critico-testuali ed esegetiche (Bari 2018).
Prima della scoperta delle opere nel Sangallensis 908 il nome di Merobaude era stato talora associato a un breve componimento in esametri, il De Christo, un inno consistente in una professione di fede cristologica rigidamente ortodossa, che proviene da una tradizione manoscritta differente, e sulla cui attribuzione (Claudiano; un non meglio identificato Merobaudes Hispanus Scholasticus; il Merobaude del Sangallensis) molto si è dibattutto, ma senza giungere a conclusioni definitive.
Scarse le notizie sulla vita e sulla carriera di Merobaude. Di origine franca (come denoterebbe il nome), di famiglia nobile, nacque in Spagna (nella Betica) o presto dovette andare a risiedere in Spagna, dove sembra abbia contratto matrimonio nell’ambito della vecchia aristocrazia senatoriale. Si trasferì poi a Ravenna, alla corte di Valentiniano III (e presumibilmente anche a Roma), e acquistò un’ampia fama poetica, celebrando sia la gloria dell’imperatore Valentiniano III e della famiglia imperiale sia quella di Aezio. Ricoprì importanti cariche militari (ad esempio nel 443 Merobaude fu inviato in Spagna, come successore del suocero Asturio magister utriusque militiae, con il compito di combattere contro i Bagaudae); fu cooptato nel senato (giunse al rango di vir spectabilis e forse fino a quello di vir illustris), e fu nominato dall’imperatore comes sacri consistorii; nel 435 gli fu eretta nel foro di Traiano una statua in bronzo (si conserva l’inscriptio incisa nel basamento: CIL VI, n. 1724 = Dessau, ILS I, n. 2950).
Merobaude ebbe dunque una intensa vita pubblica nel corso della quale svolse ruoli di rilievo di carattere sia civile sia militare, e costituisce per noi un testimone attento e acuto delle complesse dinamiche politiche, sociali e culturali che caratterizzarono la tarda antichità. Non fu un banale letterato d’occasione né un semplice laudator di illustri personaggi. I suoi due panegirici per Aezio non si riducono a un compiacente esercizio di abilità retorica, ma restituiscono un vivido ritratto del dedicatario e una penetrante ricostruzione del contesto storico, nella quale con accortezza si innestano calibrate curvature ideologiche.
Merobaude dimostra di padroneggiare con sicurezza e con gusto il ricco patrimonio culturale della tradizione classica, le cui suggestioni egli sa fondere finemente con le stimolanti esperienze della più recente letteratura. Nel panegirico in prosa inoltre si fa apprezzare uno spiccato spessore etico di ben connotata ascendenza senecana. [A. Bruzzone]