saec. IV-V
Quanto mai oscuri, se non addirittura inesistenti, i dati biografici relativi al grammatico ‘Sergius’: sotto il suo nome, sul quale pesa peraltro il legittimo dubbio che possa trattarsi di una variante grafica di Servius (Keil, LII; Holtz, 227; Stock, 420), sono tramandati alcuni opuscoli annoverabili all’interno di quell’attività esegetica a Donato che, sicuramente iniziata già a ridosso della divulgazione delle artes donatiane, trova poi nella figura di Servio la massima espressione e finisce per consacrare Donato come auctor e modello della prassi grammaticale; di seguito, tutta una serie di commenti e trattati, all’opera completa di Donato o a singole parti di essa (Ars minor; Ars maior I, II, III) caratterizza il panorama artigrafico della tarda antichità e influisce significativamente sulla produzione grammaticale altomedievale (Law; Munzi 2007). È appunto a un ‘Sergius’ che la tradizione attribuisce anzitutto un manipolo di testi (Kaster, 429-30) accolti poi nel corpus dei Grammatici Latini: il De littera, de syllaba, de pedibus, de accentibus, de distinctione (GL IV, 475-485); le Explanationes in Donatum (GL IV, 486-565; sulla paternità e sull’unità stessa dell’opera rimangono a tutt’oggi forti dubbi: sintesi della questione in De Paolis, 173-176); il cosiddetto Sergius Bobiensis (GL VII, 537-539; Munzi 1993); è stato invece per lungo tempo assegnato a Cassiodoro il Commentarium de oratione et de octo partibus orationis artis secundae Donati, pubblicato per la prima volta dal benedettino Garet nel 1679 tra gli scritti del senatore romano e ristampato, sempre come cassiodoreo, all’interno della Patrologia Latina: oggi l’operetta, che si configura come un commento Maior II, è stata invece rivendicata con forza all’oscuro grammatico dall’ultimo editore (Stock; già su questa linea, dopo le riserve sulla paternità cassiodorea espresse da Keil e dal Manitius, si vedano anche Löfstedt e Law). Testi nel complesso non ascrivibili comunque a un unico autore, ma che denunziano nell’insieme una sovrapposizione di materiali serviani e donatiani, peraltro comune ad altri trattatisti del V secolo, quali Pompeo e Cledonio, e che rinvierebbero, nel complesso a un Servius plenior, soggetto nel corso della tradizione a riduzioni e rimaneggiamenti (Jeep).
Esplicita citazione di una fonte ‘Sergius’, in riferimento tanto a passi del De littera quanto del Commentarium, si coglie in opere successive, tra VII e IX secolo, sia nell’ambito dei cosiddetti “elementary grammars” delle isole britanniche (in particolare l’Ars Bernensis; Law 1982, 53-80), sia fra i testi degli “exegetic grammars” (Ars Ambrosiana: Law 1982, 81-97): tale constatazione sembra offrire oggi un minimo appiglio per una più plausibile ipotesi dell’esistenza stessa del grammatico e per un’unica attribuzione tanto del De littera quanto del Commentarium (Stock, 409-410; Munzi 2005, 227, 231; ma si considerino anche le riserve espresse da La Bua).
Il riscontro, poi, di un’utilizzazione per la prima volta di parti del Commentarium nelle Etymologiae di Isidoro di Siviglia consente di definire un arco temporale, sia pure ampio (tra Servio e Isidoro), per collocare almeno questo testo giunto sotto il nome di Sergio (Stock, 22-23; più cauto in questa direzione Munzi 2005, 231). Alcune indicazioni, per quanto labili, sulla figura di ‘Sergius’, sembrano potersi infine desumere proprio dal testo del Commentarium: l’editore Stock, a tale proposito, a partire da un esame degli auctores e delle fonti grammaticali utilizzati e dallo stile stesso dell’operetta, avanza l’ipotesi di una composizione in Campania nella prima metà del V secolo; la ‘coloritura’ cristiana della lingua e una citazione, in particolare, di Paolino da Nola, lascia presumere quel contesto, tipico dei primi anni del 400, in cui una sorta di mescidanza e osmosi linguistica e culturale caratterizza tanto la letteratura quanto la scrittura tecnica: la prospettiva di una collocazione nel primo V secolo è condivisa da Munzi 2005, che però non ritiene così cogenti e significativi i presunti tratti cristiani dell’operetta. [A. Di Stefano]