Edizione di riferimento:
Marcellini V. C. Comitis chronicon ad a. DXVIII continuatum ad a. DXXXIV, cum additamento ad a. DXLVIII, edidit Theodor Mommsen, Chronica Minora II, Unveränderter Nachdruck der 1894 bei der Weidmannschen Verlagsbuchhandlung, Berlin, erschienenen Ausgabe, München 1981, pp. 37-104 (Monumenta Germaniae Historica, Auctores Antiquissimi 11)
Nella prefazione al suo chronicon Marcellino, dopo aver fatto riferimento ai precedenti di Eusebio di Cesarea e del noster Girolamo, afferma l’intenzione di voler continuare la loro opera, a partire dal consolato di Ausonio e Olibrio nell’anno 379, quando Teodosio fu nominato imperatore, fino al consolato di Magno nell’anno 518, aggiungendo poi 16 anni dal primo consolato di Giustino Augusto fino al quarto consolato del medesimo nel 534 (Continuatio editionis secundae), per un totale di 156 anni. L’auctarium, che comprende gli anni dal 535 al 548, non è generalmente ritenuto opera di Marcellino, dal momento che non è noto a Cassiodoro né soprattutto è menzionato nella prefazione.
L'opera è strutturata in capitoli ciascuno dei quali contiene la narrazione degli avvenimenti di un anno, preceduta dall'indicazione dell'indizione e dai nomi dei consoli in carica. La narrazione, in genere sintetica, si fa talvolta più estesa a esporre notizie di carattere letterario (vd. ad esempio ad a. 392, 2, relativo a Girolamo), religioso (vd. ad esempio ad a. 453, relativo al ritrovamento delle reliquie di Giovanni Battista), di storia locale ( vd. ad esempio ad a. 518, 3, relativo alla fondazione della città di Daras).
Marcellinus Comes utilizzò varie fonti: oltre a Orosio (che ripete spesso ad verbum per gli avvenimenti fino al 414), ai libri de viris illustribus di Girolamo (ma solo in un passo relativo all’anno 380), di cui si pone come continuazione, e a Gennadio di Marsiglia (fino al 486), l'autore usò i Consularia Constantinopolitana scritti in latino, i Consularia Italica e il Laterculus pontificum Romanorum, nonché alcune opere minori di carattere religioso (un’opera sul ritrovamento delle reliquie di Santo Stefano protomartire, una vita di Giovanni Crisostomo, ecc.). Per gli ultimi anni della cronaca è probabile che Marcellino si sia basato sulle sue conoscenze personali, come pare intendere con l’espressione usata nella prefazione Orientalem tantum secutus imperium: infatti, dopo l’inizio del regno teodericiano nel 489 sono riportati solo gli avvenimenti della parte orientale.
Del chronicon di Marcellino si servì abbondantemente Iordanes (Mommsen, p. 53: “usurpavit autem”), che utilizzò altresì altri chronica a quello assai simili e più ampi: infatti non di rado tra gli excerpta di Marcellino si trovano aggiunte in esso non presenti, ma così collegati da essere difficilmente scindibili (per esempio ad a. 529). Scartate le due ipotesi che, in luogo di Marcellino, Iodanes abbia utilizzato dei chronica più completi derivati da quello di Marcellino oppure che a noi sia giunta una versione abbreviata dell’opera di Marcellino (dal momento che i due archetipi del chronicon concordano notevolmente e di questi T è anche vicino all’autore), Mommsen propende per credere che Iordanes si sia servito – oltre che di Marcellino – degli stessi chronica da cui Marcellino dipende e abbia aggiunto in molti casi le parti in essi reperite. Il fenomeno si verifica soprattutto nella continuazione relativa agli anni successivi al 534, che non è di Marcellino, dove si riscontrano concordanze ad verbum con Iordanes (si veda ad esempio la narrazione relativa all’anno 536): in questi casi di certo Iordanes non utilizzò l’auctarium di Marcellino, bensì la medesima fonte contenente la narrazione della guerra gotica anno per anno; l’autore dell’auctarium se ne servì in maniera più massiccia rispetto a Iordanes, il quale comunque riporta in qualche caso notizie da quello omesse (Mommsen cita gli anni 378-379). Dopo il VI sec. utilizzarono Marcellino Beda e Paolo Diacono, mentre il chronicon venne utilizzato raramente nei secoli successivi (ad eccezione di Lamberto di St. Omer, che deve avere avuto sottomano la copia dell’opera conservata in quella biblioteca). [S. Rota]