Edizione di riferimento:
Corpus Hermeticum, t. II, Traités XII-XVIII, Asclepius, texte établi par A.D. Nock, cinquième tirage revue, Paris, Les Belles Lettres, 1992.
Al capitolo 34 è stato corretto un errore di stampa: inpossible sostituito con inpossibile.
L’Asclepius è conservato tra le opere filosofiche di Apuleio, la cui paternità è però esclusa. Il nome del resto non compare né nel titolo né nella subscriptio. Si tratta della traduzione di un testo greco (Λόγος τέλειος) dell’inizio del IV secolo d.C., come dimostrano la presenza della preghiera finale di questo Logos nel papiro magico Mimaut (300 circa) e le numerose citazioni di Lattanzio; la traduzione latina è utilizzata anche da Agostino nel De civitate Dei. Si è tentato di attribuirla a Mario Vittorino (Scott), ma anche tale attribuzione è esclusa, per motivi linguistici. Nock pensa a un autore pagano del periodo tardo, che a Roma, in Africa o anche in Egitto si serve di una lingua assai vicina a quella delle traduzioni cristiane, pur conservando una sensibilità classica marcata e un buon senso del ritmo, con l’uso delle clausole (frequenti i finali dattilici).
L’originale di cui l’Asclepius è traduzione ci è noto dal papiro Mimaut, da Lattanzio, Cirillo, Giovanni Lido e Stobeo. Se queste citazioni concordano con il testo latino abbastanza da confermarci che sono tratti dall’originale, tuttavia essi non possono essere considerati come rappresentanti l’originale e, d’altra parte, la traduzione latina è una versione libera, che tende più alla solennità che alla precisione (Nock). Il titolo originale Λόγος τέλειος è conservato in Lattanzio e Ps.-Agostino, che lo rendono rispettivamente con sermo perfectus e verbum perfectum.
Il trattato si apre con un’invocazione ad Asclepio e si presenta come un dialogo tra Asclepio e Trismegisto, alla presenza di Ammone e Tat; i personaggi tuttavia non partecipano attivamente al dialogo e la natura dell’opera è eminentemente espositiva. Scopo dell’opera, definita nell’invocazione iniziale divinus sermo superiore per religiosa pietas a tutti i precedenti, è l’insegnamento di mysteria, che condurranno il discepolo alla conoscenza. Essa verte su una serie di temi di assai diversa estensione, che compongono comunque un trattato unitario risalente forse ad un solo compilatore, che ben conosceva la letteratura ermetica (A.S. Ferguson). L’unitarietà del trattato sarebbe confermata da una serie di ripetizioni testuali e da rimandi e allusioni ad altre parti dell’opera (D. Nock). Numerosi sono i paralleli fra l’originale greco dell’Asclepius e il Corpus Hermeticum IX, che si pone come la sua continuazione. Accanto a temi comuni alla letteratura di genere (l’anima, l’uomo, Dio, il mondo, il male), si segnala come sviluppo degno di particolare attenzione la ‘piccola apocalisse’ (24-26), che contiene allusioni alle persecuzioni cristiane contro i pagani e si presenta come una combinazione della dottrina stoica delle catastrofi cosmiche periodiche e del mito della Politica di Platone con la profezia di tipo egizio e degli Oracoli Sibillini. Si tratta di luoghi comuni escatologici ai quali non bisogna dare un contenuto troppo preciso (vd. Ferguson, contro Scott, che data la profezia agli anni 268-273), ma che possono far pensare come base dell’Asclepius a uno scritto ebraico, passato di mano in mano o tramandato oralmente (Nock). [S. Rota]