Edizione di riferimento:
Apicius, L' art culinaire, texte établi, traduit et commenté par J. André, Paris 1987 (I ed. 1974) (Collection des Universités de France).
Il titolo De re coquinaria fu attribuito all’opera dal filologo T. C. Schuch nella sua edizione del 1867, sulla base di una precedente fortuna rinascimentale: una lettera di Carlo de’ Medici attesta infatti che la silloge circolava già a quei tempi sotto tale nome. Il testo è conservato in due manoscritti del IX secolo (V ed E) che paiono essere stati scritti rispettivamente a Tours e a Fulda.
L’opera originale doveva essere composta da due volumi, uno dedicato alla cucina in generale e l’altro alle salse, poi condensati dai successivi trascrittori in una sola silloge contenente 468 ricette, suddivise in dieci libri. Esse, su un nucleo di I secolo, forse risalente a quell’Apicio di cui parlano Seneca e Plinio il Vecchio, sono poi progressivamente cresciute fino all’attuale redazione, databile con ogni probabilità alla fine del IV secolo, età a cui sono da attribuire gli excerpta compilati da un altrimenti ignoto Vinidario. Prova di questa eterogeneità del manuale, la cui composizione ricade ben oltre l’epoca tiberiana, sono alcuni piatti che paiono ispirati o dedicati a personaggi successivi al I secolo, come gli imperatori Traiano e Commodo.
Ogni libro sviluppa un singolo argomento, ricordato da un titolo greco, prova di successivi rimaneggiamenti: il primo libro contiene norme per la conservazioni dei cibi, il secondo tratta della preparazione di salsicce e ripieni, il terzo delle verdure, a cui segue la trattazione di torte salate e pasticci (iv), legumi (v), pollame e uccelli (vi), insaccati (vii), carni ovine, suine o cacciagione (viii), pesci e crostacei (ix), per concludersi con le ricette per la preparazione di salse e condimenti, in genere a base di pesce (x). La silloge costituisce poi un repertorio prezioso non solo dei cibi, ma anche dei numerosi utensili presenti nella cucina antica, oggetti oggi non sempre facilmente identificabili.
Le indicazioni sono piuttosto schematiche, la lingua delle ricette è in genere semplice, priva di eleganza e con una sintassi spesso svincolata dalla norma: ad esempio, pur essendo un testo di carattere normativo, predomina l’uso dell’indicativo in luogo di congiuntivo o imperativo. [A. Borgna]