Edizione di riferimento:
Romani Aquilae, De figuris, introduzione, testo critico e commento a cura di Martina Elice, Hildesheim, 2007
Il De figuris di Aquila Romano, pur essendo di fatto un catalogo ragionato delle figurae sententiarum et elocutionis organizzato per lemmi e corredato di esempi, rappresenta un caso piuttosto particolare nell'ambito della tradizione retorica tardoantica. Infatti se testi simili si risolvono generalmente in rassegne di definizioni illustrate da esempi, la struttura di questo trattato è ben più articolata, dal momento che la parte tecnica viene inquadrata in una sorta di cornice che, prendendo le mosse dalla dichiarata funzione pedagogica dell'opera, si apre a considerazioni di carattere teorico sulla necessità dello studio delle figure e sugli effetti espressivi e stilistici che queste generano nel discorso.
In un proemio piuttosto ampio Aquila, rivendicando l'importanza della teoria delle figure, si inserisce in quella polemica che aveva già impegnato Quintiliano sulla specificità degli ambiti della grammatica e della retorica. Le figure, proclama Aquila, rappresentano l'arma principale dell'oratore, essendo il mezzo più atto a persuadere e commuovere il pubblico e i giudici. Quest'affermazione, continua l'autore, è facilmente dimostrabile: si provi a riformulare un passo dei grandi oratori privandolo del suo ornatus retorico e immediatamente perderà ogni forza espressiva. Al proemio segue la classificazione e la sistematica trattazione delle figure retoriche, naturale nucleo dell'opera. Nell'epilogo Aquila ritorna a considerazioni generali sull'importanza del discorso figurato e rinnova il topico invito all'esercizio assiduo e all'imitazione dei grandi modelli, in modo particolare Demostene e Cicerone. [A. Borgna]