Edizione di riferimento:
Sexti Aureli Victoris, Liber de Caesaribus. Praecedunt Origo gentis Romanae et Liber de uiris ilustribus urbis Romae, subsequitur Epitome de Caesaribus, recensuit Fr. Pichlmayr, editio stereotypa correctior editionis primae addenda et corrigenda iterum collegit et adiecit R. Gruendel, Leipzig 1970, 77-129 (I ed. 1911) (Bibliotheca Scriptorum Graecorum et Romanorum Teubneriana).
Le Aurelii Victoris Historiae abbreuiatae o Liber de Caesaribus sono concepite come una raccolta di biografie imperiali, suddivise dal primo editore, Andreas Schott, nel 1579, in quarantadue capitoli, ciascuno dei quali dedicato a un imperatore. Come indica il titolo, si tratta di un breuiarium, destinato, secondo la moda del tempo, a offrire al lettore un’idea sommaria della storia imperiale romana. L’ultimo evento storico menzionato nell’opera coincide con il decimo consolato e il ventitreesimo anno di regno di Costanzo II (360 d.C.), il che ha indotto a credere che Aurelio Vittore ne abbia iniziato e rapidamente terminato la stesura nel corso del 361, allo scopo non solo di celebrare l’ascesa al trono di Giuliano, ma anche di offrire al suo benefattore, che lo aveva incaricato del governatorato della Pannonia seconda, una sorta di manuale del buon governo. Sintetizzando le tecniche del genere storiografico e biografico, l’autore delinea, con spirito moraleggiante, circa quattrocento anni di storia romana, divisibili in sei periodi di durata assai difforme, a partire dal principato di Augusto: l’età giulio-claudia (capp. 1-5); Galba-Otone-Vitellio (capp. 6-8); i Flavi ( capp. 9-11); gli Antonini e i Severi (capp. 12-24); da Massimino il Trace a Tacito (capp. 25-37); da Caro a Costanzo II (capp. 38-42). Di queste sei fasi, la quarta (il principato degli Antonini e dei Severi) corrisponde, agli occhi di Vittore, all’apogeo della storia imperiale romana; e peraltro la sua fede nell’idea di una Roma aeterna, sostenuta con spirito tradizionalista e fortemente filosenatorio, non viene mai meno, neppure nella trattazione delle turbolenti epoche successive. L’esposizione degli eventi risulta tutt’altro che omogenea; infatti il ricorso a una documentazione storica di livello (risalente soprattutto alle opere di Svetonio, di Tacito, di Mario Massimo, nonché all’enigmatica quanto evanescente Kaisergeschichte postulata a suo tempo da Enmann fra le fonti latine e fra le elleniche a Dione Cassio, che tuttavia forse Vittore non lesse direttamente a causa della sua incerta conoscenza del greco) si alterna al banale aneddoto e al pettegolezzo e, per quanto concerne il regno di Costanzo II, a informazioni di prima mano, desunte da testimoni oculari, da atti ufficiali, da panegirici. Tale metodo di lavoro mette in luce il desiderio di Aurelio Vittore di realizzare un’opera originale, che in complesso non risulta priva di qualche merito sotto il profilo storiografico. come già ebbe a comprendere il coevo Ammiano Marcellino. [G. Vanotti]