Edizione di riferimento:
Anicii Manlii Severini Boethii, Philosophiae consolatio, iteratis curis edidit Ludovicus Bieler, Turnolti 19842 [1957]
Del testo di questa edizione si è proceduto a correggere un refuso a III.4.12: desistit al posto di desisitit.
L’opera, comunemente conosciuta come De consolatione philosophiae (titolo tramandato da alcuni codici) o con il titolo di Philosophiae consolatio, accolto da Bieler sulla base di un maggior numero di manoscritti, è un trattato prosimetrico scritto da Boezio nel 524 durante la prigionia nel carcere di Pavia, in attesa del giudizio del re Teodorico. Già prima di Boezio il prosimetro aveva perso la sua connotazione originaria a favore di un uso in opere scientifiche e filosofiche, il cui esempio più significativo è rappresentato dal De nuptiis Philologiae et Mercuri di Marziano Capella, che probabilmente Boezio conosceva. Forse a Boezio va attribuito come carattere originale la successione regolare nella mescolanza tra prosa e poesia. Il trattato è costituito da 5 libri, al cui interno sono contenuti 39 carmi in diversi metri (distici elegiaci, trimetri dattilici catalettici con adonio, tetrametri dattilici catalettici, faleci, gliconei, coliambi, endecasillabi saffici, esametri), anche variamente uniti. L’opera appartiene al genere consolatorio, come testimoniano l’occasione in cui è composta (durante la segregazione in carcere dell’autore) e i contenuti. Nel primo libro la personificazione della filosofia come donna di aspetto venerabile, che regge con la mano destra dei libri e con la sinistra uno scettro, si rivolge a Boezio piangente esortandolo a non lasciarsi sedurre dalle Muse della poesia. Boezio ripercorre la sua vita e la sua opera compiangendo la sua triste sorte. Con la guida della Filosofia nel secondo libro si renderà conto che la gloria che ha acquisito è vana e inconsistente, mentre nel terzo giunge a definire la natura del vero bene: Dio, summum bonum. Nel quarto libro si affronta il problema dell’esistenza del bene e del male e del rapporto tra provvidenza, fato e libero arbitrio. Nel libro conclusivo Boezio inserisce la propria vicenda personale all’interno della riflessione filosofica e religiosa che è venuto elaborando e giunge a concludere che essa era stata prevista da Dio, il quale tuttavia, in virtù del libero arbitrio lasciato all’uomo, saprà ricompensarlo del suo atteggiamento virtuoso. Tale riflessione porta alla consolazione conclusiva per lui e per tutti gli uomini: Dio osserva dall’alto e saprà premiare i meriti.
Tra le fonti del pensiero boeziano è stata individuata la filosofia neoplatonica (Ammonio e Proclo), anche se Boezio doveva avere conoscenza diretta di almeno alcuni dei dialoghi platonici più letti (Protagora, Gorgia e Timeo). Fino a metà Ottocento in base alla Consolatio gli studiosi nutrivano dubbi sull’adesione di Boezio al Cristianesimo, ma la pubblicazione nel 1877 a cura di H. Usener del cosiddetto Anecdoton Holderi, testo anonimo basato su materiale risalente a Cassiodoro, dimostrò l’identità tra il Boezio autore della Consolatio e l’autore dei trattati teologici (De Trinitate, Contra Eutychen et Nestorium).
La Philosophiae consolatio è tramandata, secondo la recensio di Bieler, da 33 codici, ma per la costituzione del testo l’editore individua 10 manoscritti fondamentali, risalenti ai secoli IX/X. Egli tiene conto anche della traduzione in greco di Massimo Planude (XII/XIII sec.), sia per le sue correzioni delle citazioni greche corrotte nei manoscritti, sia per qualche utile congettura che si può ricavare dalla retroversione della sua traduzione. [G. Bessi]