Edizione di riferimento:
Dictys Cretensis, Ephemeridos belli Troiani libri a Lucio Septimio in Latinum sermonem translati accedunt papyri Dictys Graeci in Aegypto inventae, edidit Werner Eisenhut, Lipsiae 19732 [1958].
Del testo di questa edizione si è corretto un refuso a III.23: mulierem al posto di mulieren.
Ephemeris belli Troiani è il titolo con il quale comunemente si ricorda un’operetta attribuita a Ditti Cretese, il cui titolo si desume dall’inscriptio dei manoscritti principali e dall’Epistola prefatoria, che un non ben identificato Lucio Settimio (Champlin 1981 ha ipotizzato in modo brillante, ma basandosi su elementi fragili, che il poeta novellus africano Settimio Sereno, l’autore delle Res reconditae Sereno Sammonico e il nostro Settimio siano la stessa persona) indirizza a Quinto Aradio Rufino (forse da identificarsi con il praefectus urbi del 376), per dedicargli la sua traduzione in latino del diario greco di Ditti, originario di Cnosso, testimone oculare della guerra di Troia, a cui avrebbe partecipato agli ordini di Idomeneo. Settimio avrebbe ritrovato per caso il suo diario (cum in mano forte libelli venissent, p.1,14-14 Eisenhut) e, avido della vera storia degli avvenimenti troiani, l’avrebbe tradotto in latino per scacciare la pigrizia dal suo animo ozioso. Il traduttore dichiara di non essersi limitato ad una mera traduzione, ma di aver epitomato parte dell’originale: infatti, se mantiene i primi cinque libri nella sua versione latina, riduce i restanti de reditu Graecorum ad uno solo. Una vexata quaestio rimane il numero dei libri del Ditti greco, in quanto vi sono divergenze tra le testimonianze greche (Suda ed Eudocia) e quanto tramandato nell’Epistola e nel Prologo, il cui testo pare corrotto (si veda l’apparato di Eisenhut 1973 e i contributi di Timpanaro 1987 e di Lapini 1992 e 1997). L’opera è datata al IV secolo con una certa sicurezza (Eisenhut 1973). La narrazione, organizzata in sei libri, affronta nei primi cinque gli avvenimenti della saga troiana a partire dalla divisione dei beni di Atreo, dal ratto di Elena e dalla conseguente organizzazione dell’esercito greco contro la città di Troia, per concludersi con la presa della città e la partenza di Enea; l’ultimo libro, invece, introdotto in chiusura del quinto da una sorta di sphraghìs di Ditti, tratta dei nòstoi degli eroi greci e del loro destino (Aiace d’Oileo; Diomede; Agamennone, con la narrazione dell’omicidio di Clitemnestra e la relativa vendetta di Oreste; Idomeneo; contesa tra Neottolemo ed Oreste per le nozze con Ermione e morte del figlio di Achille; Ulisse ritorna in patria, ma turbato da sogni in cui si vede ucciso dal figlio, caccia Telemaco da Itaca; arrivo sull’isola di Telegono, nato dalla relazione tra Ulisse e Circe, che, non riconoscendo il padre, lo ferisce a morte durante uno scontro e, dopo tre giorni, Ulisse muore). Come premessa alla narrazione vera e propria alcuni manoscritti ci tramandano un’Epistola prefatoria, altri un Prologo presentato come diretta traduzione dell’originale greco, in cui si racconta del ritrovamento da parte di alcuni pastori della tomba di Ditti a Cnosso, che custodiva anche il suo diario redatto in alfabeto fenicio, resasi visibile in seguito ad un terremoto verificatosi durante il tredicesimo anno del regno di Nerone. Attraverso intermediari lo scritto sarebbe giunto nelle mani dell’imperatore stesso che avrebbe provveduto a farlo traslitterare in caratteri greci e a depositarlo nella biblioteca greca. La tradizione manoscritta è nettamente divisa in due famiglie, denominate da Eisenhut γ (che comprende 7 codici di cui il più antico è il Sangallensis 197 del IX/X secolo) ed ε (che comprende 7 codici, di cui il più antico è l’Aesinas dell’inizio del IX secolo): ε tramanda solo l’Epistola e non il Prologo, mentre γ solo il Prologo e non l’Epistola; sono gli editori moderni ad unire le due sezioni introduttive e a premetterle al testo vero e proprio dell’Ephemeris. Se per l’opera di Darete Frigio è ancora motivo di discussione l’esistenza dell’originale greco da cui deriverebbe la nostra redazione latina, tale problema è superato per l’opera di Ditti, in quanto due papiri egizi - pubblicati in appendice ad Eisenhut 1973 - ci restituiscono frustuli di un testo greco che si può ricondurre in modo incontrovertibile al nostro Ditti latino: si tratta di Pap.Tebt. 268 (pubblicato nel 1907, sul quale vedi Ihm 1909; cf. Dict. Lat. IV 9-15) e Pap.Oxy. 2539 (pubblicato nel 1966, sul quale vedi Eisenhut 1969; cf. Dict. Lat. IV 18). Dal loro esame risulta che la traduzione di Settimio è condotta in modo quasi letterale rispetto all’originale. Inoltre va segnalata la pubblicazione recentissima (2009) di altri due papiri sempre rinvenuti ad Ossirinco (4943 = Dict. Lat. II 30 e 4944= Dict. Lat. V 15-17), su cui si rimanda ai due contributi di Luppe del 2010. Per quanto concerne i contenuti, l’opera testimonia anch’essa - come la De excidio Troiae historia di Darete Frigio - una versione del mito di Enea poco conosciuta ed attestata, secondo cui il figlio di Anchise, aiutato da Antenore, tradì la sua patria, consegnandola ai Greci. L’operetta costituì nel Medioevo una fonte privilegiata per la conoscenza dei fatti della guerra troiana (forse meno conosciuta e diffusa rispetto a quella di Darete, cf. Petoletti 1999), ma del suo uso e riuso troviamo tracce fino all’Ottocento (Bessi 2004). [G. Bessi]