Edizione di riferimento:
Evanzio, De fabula, introduzione, testo critico, traduzione e note di commento a cura di G. Cupaiuolo, Napoli 1992 (I. ed. 1979).
- Traduzione inglese in Classical and Medieval Literary Criticism: Translations and Interpretations, a cura di A. Preminger, O.B. Hardison jr. e K. Kerrane, New York 1974
– Traduzione inglese di S.G. Nugent, Ancient Theories of Comedy: The Treatises of Evanthius and Donatus, in Shekespearean Comedy, a cura di M. Charney, New York 1980, pp. 259-280.
Nella forma in cui ci è pervenuto, il De fabula consta di quattro capitoli, a cui fa seguito un’altra sezione sul medesimo argomento, separata in alcuni manoscritti da un nuovo titolo, De comoedia; la critica ritiene ora concordemente che si tratti di testi nettamente distinti l’uno dall’altro, che non possono essere attribuiti al medesimo autore.
Nel primo capitolo si parla delle comuni origini del teatro tragico e comico in contesti dionisiaci, delle etimologie di ‘tragedia’ e ‘commedia’, delle maschere, della cronologia relativa dei due generi drammatici, con l’anteriorità della tragedia rispetto alla commedia; alla fine del capitolo si rinvia ad altra occasione la trattazione del genere tragico, passando a quella della commedia, a cui appartengono le opere di Terenzio: questa conclusione dimostra come l’opera sia strettamente connessa ad un commentario terenziano, o già nella sua genesi o quantomeno nell’ipotetica riutilizzazione che ci è pervenuta.
Argomento del secondo capitolo è la storia della commedia greca, suddivisa in antica e nuova: dopo l’inizio, con un solo attore e il coro che recitavano accompagnati dalla musica, vennero commedie con più personaggi, fino a ben cinque attori, e poi maschere, costumi, e calzari che aiutavano a distinguere i personaggi l’uno dall’altro, mentre il testo si suddivideva in cinque atti; la commedia più antica metteva in scena personaggi reali, chiamati con il loro nome e ben riconoscibili da parte degli spettatori, ma gli abusi e le diffamazioni portarono al divieto di usare nomi di persone viventi, e accanto alla commedia nacque la satira, con scherzi volgari ma senza personaggi reali: con Lucilio la satira si staccò dai generi drammatici. La commedia nuova non lavora su individui particolari, ma su tipi, e piace di più perché ogni spettatore si può riconoscere in alcuni comportamenti; ad essa appartengono Menandro e Terenzio.
Nel terzo si approfondiscono le caratteristiche della commedia nuova, con l’abolizione del coro, non più gradito al pubblico, e la conseguente difficoltà di riconoscere la suddivisione in atti; ci si sofferma poi sul proemio, che ha funzioni particolari nelle commedie di Terenzio, sul deus ex machina, che in Terenzio non compare, mentre sono frequenti i personaggi fuori argomento, che gli altri commediografi non amano. Terenzio innova anche nella metrica: già i commediografi greci erano un po’ più liberi nelle sedi pari del trimetro giambico, ma il commediografo latino produce testi quasi di prosa. Altra differenza è il tentativo di mettere in scena solo personaggi buoni, contro le tipologie dei caratteri definiti dai precetti dell’arte; per contro la sua bravura è evidente nell’attenzione con cui, a differenza di altri autori latini, evita gli aspetti troppo alti, patetici o tragici, mantenendosi sempre lontano dalla tragedia e dal mimo. Altre qualità, che lo distinguono da Plauto, sono il rifiuto della rottura della convenzione teatrale, con gli attori che si rivolgono al pubblico, e la capacità di mescolare più trame all’interno di una sola commedia.
Nel quarto infine si trattano le altre forme di teatro latino, le togatae, commedie di argomento latino (mentre praetextae sono le tragedie ispirate alla storia di Roma), le Atellane, le Rinthonicae, le tabernariae e i mimi; si opera infine un confronto fra tragedia e commedia, si ricordano Livio Andronico come iniziatore del teatro romano, la suddivisione delle commedie in motoriae, d’azione, statariae, di parola, e mixtae e si elencano e definiscono le parti che costituiscono una commedia, il prologo, la protasi, l’epitasi e la catastrofe. [G. Polara]