Edizione di riferimento:
Florus, Oeuvres, texte établi et traduit par Paul Jal, Paris 1967, tome I et tome II (Collection des Universités de France).
L’Epitoma de Tito Liuio è un compendio in due libri della storia romana dalla fondazione della città fino ad Augusto. Nella praefatio l’autore spiega lo scopo dell’opera: suscitare l’ammirazione del lettore per le gesta del popolo romano. Paragona la storia romana alle fasi della vita dell’uomo: il periodo monarchico corrisponde all’infanzia, il periodo che arriva fino alla prima guerra punica corrisponde all’adolescenza, la gioventù copre il restante periodo fino ad Augusto, per poi cedere il posto alla vecchiaia (tranne un breve ‘ringiovanimento’ sotto Traiano).
Il manoscritto migliore è il codex Bambergensis E III 22 (B, inizio del IX sec.); tutti gli altri appartengono a una famiglia diversa (C): tra essi il più antico è il codex Palatinus Latinus 894 (N, anch’esso del IX secolo, ma più recente di B). La famiglia C divide l’opera in quattro sezioni (la seconda inizia con la prima guerra punica, la terza con la guerra giugurtina; la quarta con la congiura di Catilina). Questa divisione è accolta in tutte le edizioni fino all’inizio del XIX secolo. Quando venne scoperto il codice B, che recava una divisione in due libri, essa fu adottata, come meglio rispondente al piano d’insieme dell’opera, mentre quella in quattro libri può essere stata influenzata dal paragone con le quattro età della vita umana. La composizione dell’opera si può collocare, in base a indizi ricavati dalla praefatio, alla fine del principato di Adriano (117-138) o sotto il principato di Marco Aurelio (161-180) [vedi scheda Florus].
Non si tratta di un riassunto di Livio, anche se il titolo potrebbe farlo pensare: il piano dell'opera, in molte parti, è più conforme a un ordine geografico, logico, morale che alla successione puramente cronologica degli avvenimenti (Jal 1967). L’autore espone i fatti in modo da far risaltare le gesta del popolo romano, con omissioni, deformazioni, semplificazioni o enfatizzazioni. Questa ‘leggerezza’ ha portato la critica a parlare di ‘errori’ di carattere geografico, storico, numerico, ma la mancanza di accuratezza si può giustificare con la natura dell’opera, essenzialmente di tipo retorico. Lo stile dell’autore è ricco di immagini poetiche, di espressioni che hanno lo scopo di colpire il lettore, di artifici, a cui si accompagna una tendenza alla brevità, che spesso produce una sensazione di oscurità. Si notano influenze di Seneca il Vecchio, forse fonte della metafora organicista delle età dell’uomo, Sallustio, Cesare, Tacito, ma anche reminiscenze di Virgilio e Lucano. L’Epitoma venne usata come opera scolastica fino alla fine del XVII secolo (Forster 1929) e godette di una certa popolarità, forse proprio per il suo carattere retorico, anche se probabilmente non venne pensata per fini pedagogici (Jal 1967): l’omissione di alcuni dati fondamentali e la sintesi eccessiva nel raccontare settecento anni di storia non fanno dell’opera un testo scolastico. Fu probabilmente pensata per gli amanti di storia e per il pubblico delle declamazioni. [M. Naso]