Edizione di riferimento:
Grani Liciniani Reliquiae, edidit N. Criniti, Leipzig 1981 (Bibliotheca Scriptorum Graecorum et Romanorum Teubneriana).
I frammenti della vasta storia romana in compendio di Granio Liciniano – o forse, con una qualche ragione, di un'epitome del testo graniano –, ordinata annalisticamente (e anche per questo definita, però senza alcuna testimonianza paleografica, Annales da Pertz 1857, primo, maldestro editore, e da altri), non hanno attualmente ancora un nome. Prudentemente definiti Quae supersunt dagli editori seguenti (Heptas 1858, i sette e più esperti allievi di Fr. W. Ritschl; Camozzi 1900; Flemisch 1904), vengono oggi identificati come Reliquiae dagli studiosi più recenti (vd. Criniti 1981, 1993: e ss.). Non è però da scartare l'ipotesi, pur sempre incerta, che il titolo fosse Historiae, come si potrebbe dedurre dal tormentato, anche paleograficamente, Reliquiae XXVIII, 22, «in his hi[st]oriis».
Disteso nella media età antonina per almeno quaranta libri, dalla fondazione di Roma alla morte di Cesare. ma con inserzioni contemporanee all'autore (vd. la dedicazione adrianea dell'Olympieion di Atene, nel 131-132 [Reliquiae XXVIII, 4-5]), «der neue Schatz» (Theodor Mommsen) – che tanto entusiasmò e fece sperare gli studiosi dell'Ottocento – conserva preziosi, a volte unici frustuli di cinque libri che coprono assai frammentariamente gli ultimi due secoli della repubblica (lo schema paleografico dei cinque quaternioni superstiti in Criniti 1981, IX-XI: e vd. Criniti 1993, 123 ss., 157 ss.). Reliquiae, in ogni caso, faticosamente interpretabili, se non intelligibili, e non più confrontabili sul codice irrimediabilmente carbonizzato a metà dell'Ottocento dai Pertz [vd. scheda Granius Licinianus], ma solo sull'apografo pertziano, non sempre affidabile.
Libro XXVI: con accenni alla storia della struttura militare romana nel VI/V secolo a.C. (riorganizzazione degli equites da parte di Tarquinio Prisco) e con riferimenti eruditi all'introduzione del culto dei Dioscuri in Italia (484 a.C.);
libro XXVIII: sulle vicende asiatiche ("biografia" polemica di Antioco IV Epifane re di Siria) e romane (coemptio dell'ager Campanus: 165 a.C.), 175-163 a.C.;
libro XXXIII: sulle vicende italiche (seconda fase delle guerre cimbriche) del 106-105 a.C.;
libro XXXV: sulle vicende romane ed ellenistiche (Mitridate VI re del Ponto) dell'età di Mario e Silla (87-84 e 94-91);
libro XXXVI: sull'instabilità politica e il bellum civile dell'87, 86-85, 81-77 a.C. (M. Emilio Lepido);
(nel libro I dovette trovare spazio l'usuale praefatio programmatica: vd. «ut instituimus» [Reliquiae XXXVI, 30]; «existimavi» [Reliquiae XXVIII, 22]).
La fonte primaria delle Reliquiae fino all'età di L. Cornelio Silla pare essere l'opera liviana (Madvig 1857, e ss.) o forse la perduta epitome liviana d'età tiberiana (Wöllflin e il suo allievo Flemisch): dello storico patavino, però, Granio Liciniano non può certo essere definito un epitomatore. Dopo il 78 a.C. è evidente l'influenza di Sallustio: allo storico di Amiternum, del resto, Granio Liciniano dedica il fin troppo celebre giudizio «Sallustium non ut historicum aiunt, sed ut oratorem legendum» (Reliquiae XXXVI, 31-32), che lo ricollega agevolmente alla storiografia 'frontoniana' della metà del II secolo (La Penna 1970), per quanto stilisticamente il suo racconto sia privo di ricercatezze retoriche.
In ogni caso, le due fonti-base risultano arricchite e inframezzate – non sempre con senso critico – da autori antiquari, religiosi e profani, interessanti il mondo italico ed ellenistico orientale (di matrice polibiana: per mediazione liviana?), di origine non facilmente identificabile: qualche indizio solo per P. Rutilio Rufo, inizi I secolo a.C. (Cornell 2013).
Il sobrio latino di Granio Liciniano è a volte stilisticamente e fraseologicamente povero e stentato, la sua conoscenza del greco però non disprezzabile: il procedimento narrativo, asciutto e misurato, è a frasi brevi e continue. La sua scrittura, pianamente e pedantemente arcaicizzante, offre un racconto storiografico in più punti originale, intriso di spunti aneddotici e di mirabilia, per quanto – almeno nelle sue dichiarazioni – attento alla sintesi e alla brevitas («nos, ut instituimus, moras et non urgentia omittemus» [Reliquiae XXXVI, 30]): e fa sospettare che il suo obiettivo, se non le sue funzioni, fossero più propriamente didattico-divulgative, rivolte a un pubblico medio di curiosi, che parve del resto mostrargli un certo interesse fino al tardo impero.
L'opera di Granio Liciniano, in fondo, ben si inserisce – anche cronologicamente – nel lavoro storiografico ed epitomatorio del II secolo d.C., offrendo in più di un caso un unicum prezioso e stimolante: «il solo tentativo in grande di scrivere una storia di Roma dalle origini che sia a noi noto posteriormente a Livio …» epigrafò, non immotivatamente, Gaetano De Sanctis. (N. Criniti)