Edizione di riferimento:
Ch. P. Jones, A Speech of the Emperor Hadrian, in «The Classical Quarterly» 54, 2004, 266-273.
La cosiddetta Laudatio Matidiae (CIL XIV 3579: Dessau = Inscr. It. IV 1,77: Mancini) è un testo epigrafico rinvenuto a Tivoli: conservato nella chiesa di S. Paolo a Tivoli fino al XVI sec. (Pepe), è oggi perduto, ma ne sopravvivono quattro trascrizioni cinquecentesche, su cui si fondano le edizioni moderne (dopo quella di Mommsen nel 1863, si ricorda tra le più importanti quella di Vollmer del 1892).
Il testo fu identificato da Mommsen come il lungo frammento di un’orazione funebre pronunciata dall’imperatore Adriano per sua suocera Matidia, ma l’occasione in cui tale orazione sarebbe stata pronunciata è stata oggetto di discussione. Già Cantarelli riteneva che non dovesse essere stata la vera e propria cerimonia funebre, ma un evento successivo, altrimenti risulterebbe difficilmente spiegabile l’espressione di Adriano [aure]is etiamnum strepunt luctuosis conclamatio[nibus propinqua]rum mearum (ll. 19-20). Sulla sua falsariga, Jones ritiene che si tratti della richiesta che, secondo la prassi, Adriano rivolse al senato per ottenere la divinizzazione della suocera. Questa la successione degli eventi secondo la sua ricostruzione: Matidia sarebbe morta nel dicembre 119 e i fratres Arvales il 23 dicembre avrebbero inviato in dono aromi per la cremazione e in vista di una consecratio di Matidia stessa. Intanto Adriano doveva aver formalmente richiesto al senato la divinizzazione, su cui l’assemblea avrebbe deliberato forse nella seduta del 1° gennaio 120, e che risulta in seguito confermata da monete recanti la legenda Diva Matidia Augusta (Mattingly). A quella data Adriano era in Roma e il frammento risalirebbe appunto a quella occasione. Per quale via poi sia giunto e sia stato conservato a Tivoli è ignoto: forse fu inciso sul basamento di una statua, collocata in una tomba familiare o nella stessa Villa di Adriano.
Matidia, nota anche come Matidia Maggiore, era in linea materna nipote di Traiano, in quanto il padre, C. Salonio Matidio Patruino, aveva sposato Ulpia Marciana, sorella di Traiano. Ebbe, a quanto pare, due mariti: dal primo, di nome Mindio, ebbe la figlia Matidia (conosciuta come Matidia Minore), ma il matrimonio si concluse probabilmente con un divorzio. Anche dal secondo marito, L. Vibio Sabino – che fu forse console nel 97 e sembra essere morto poco dopo (Syme) – ebbe una figlia, Sabina, che nel 100 andò in sposa a Adriano. Matidia diveniva così socrus di Adriano (ll. 4, 11, 18). Fra i due intercorreva già comunque una lontana parentela, in quanto il padre di Adriano era a sua volta parente di Traiano: secondo l’Historia Augusta, cugino di primo grado (consobrinus: Birley, Jones). Il legame fra Matidia e Adriano si sarebbe ulteriormente rafforzato in seguito alle campagne di Traiano in Dacia e contro i Parti, in cui lo accompagnarono sia Adriano sia Matidia, che sembra aver vissuto costantemente accanto allo zio imperatore, rimanendo con lui fino alla morte (ll. 7-10). La problematica adozione in extremis di Adriano da parte di Traiano – che forse Matidia poté seguire da vicino – li rese infine anche cugini (l. 31: consobrina).
La prima parte conservata dell’iscrizione (ll. 7-10) pone l’accento proprio su tali legami familiari e in particolare sulla devozione filiale di Matidia nei confronti dello zio Traiano. Adriano sottolinea la profondità del proprio dolore, scusandosi se il conseguente sconvolgimento non gli consentirà di esprimere al meglio tutto ciò che vorrebbe mettere in evidenza (ll. 11-20). Quindi chiede ai destinatari del discorso di sollevarlo da un’eccessiva esposizione alla sofferenza, ricordando ciò che loro stessi sanno bene circa i mores di Matidia e richiamandone alla mente i meriti come cose non nuove ma note (si potius ut nota dicentur quam ut noua: ll. 21-22).
Il testo entra poi nel vivo con un elenco delle virtù di Matidia. Accanto alla castità, ulteriormente esaltata dal cenno alla lunghissima vedovanza nel pieno fiorire degli anni e della sua estrema bellezza, spiccano la pietas nei confronti della madre, della prole e degli altri parenti, specialmente del genero, il carattere aperto e solare, la modestia in virtù della quale non richiese mai speciali favori personali (ll. 23-30). Nell’ultima sezione (ll. 31-37), man mano sempre più frammentaria, doveva infine trovare posto, se colgono nel segno l’ipotesi di Jones e la sua conseguente integrazione alla l. 34 ([consecrationis hono]re dignemini rogo), l’appello ai senatori perché concedessero a Matidia l’onore della divinizzazione.
L’istanza di Adriano presenta una spiccata convergenza con le forme della laudatio funebris, per come si trovano teorizzate già nella Rhetorica ad Herennium (3,10-15), in Cicerone (de orat. 2, 45-46; 2, 341 ss.) e in Quintiliano (inst. 3, 7, 10-18). Tale convergenza si nota in particolare nella sottolineatura della nobiltà del genus e nell’ovvia presentazione della rosa delle virtutes, con l’elenco in asindeto di espressioni di elogio e il cumulo di superlativi. Quest’ultimo è un carattere ricorrente nelle laudationes funebres (Pepe), ma nel caso specifico è stato interpretato anche, insieme all’uso di parallelismi, come una risorsa ritmica (Bardon). La presentazione di Matidia risulta così pienamente in linea con il più tradizionale modello romano, ben attestato nelle laudationes, della matrona interamente dedita alla vita della famiglia e alle relative virtù. Un tratto che trova peraltro significativo riscontro in un tipo monetale raffigurante Matidia con le mani sulle teste delle figlie Sabina e Matidia Minore e recante la legenda PIETAS AVGUST[A] (Dixon, Gualerzi, Pepe).
Ancora da Tivoli proviene un altro piccolo frammento di un’epigrafe perduta, conservatosi grazie a una trascrizione probabilmente operata da Ciriaco d’Ancona (Dessau): “it refers to a wife (uxor) and an ‘image’ (simulacrum), and a plural audience is addressed in the phrase seruate mihi ius meum” (Jones). Pubblicandolo in CIL XIV 3579a (= Inscr. It. IV 1,78: Mancini), Dessau riteneva appartenesse anch’esso al discorso relativo a Matidia (“hoc fragmentum pertinuisse ad ipsam eam orationem Hadriani, ex qua superest n. 3579”). Alla sua opinione si attenne Cantarelli, ma la proposta fu messa in discussione da Vollmer, e anche Jones sembra ora ritenere preferibile ricondurlo a una differente occasione.
Si segnala infine che il personaggio di Matidia viene menzionato più volte nel best-seller Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar. [F. Giannotti]