Edizione di riferimento:
Chronica minora. 1: accedunt Hippolyti Romani praeter Canonem paschalem fragmenta chronologica, collegit et emendavit Carolus Frick, Lipsiae 1892, 153-174 (Bibliotheca Scriptorum Graecorum et Romanorum Teubneriana)
Il De cursu temporum, tramandatoci anche con il titolo De mundi duratione, è un trattatello che Ilariano scrisse su sollecitazione di un gruppo di amici e fedeli, forse turbati da profezie di parte pagana, secondo le quali il 398 avrebbe segnato la fine del culto del Cristo – cosa che per i Cristiani avrebbe dovuto per forza di cose coincidere con la fine del mondo (cfr. August. De civit. Dei 18,53-54: Lana, pp. 85-88; Zecchini 2003, p. 330).
Rivolgendosi ripetutamente ai suoi destinatari, Ilariano sviluppa con rigore un proprio punto di vista millenaristico sulla durata del mondo: poiché, come vuole la Genesi, Dio creò il mondo in sei giorni e nel settimo si riposò, e poiché agli occhi di Dio mille anni sono come un giorno – Salmi 90 (89), 4 e Seconda lettera di Pietro 3, 8 –, anche il mondo durerà sei giorni di mille anni ciascuno. Vi sarà allora una prima resurrezione, in seguito alla quale i giusti godranno di un sabato di mille anni, mentre i malvagi vivranno nella sofferenza. Alla fine di questo millennio, che vedrà compiersi la settimana cosmica, interverrà una seconda resurrezione, che segnerà il definitivo ed eterno trionfo di Dio insieme ai suoi giusti. Operando minuziosi calcoli, Ilariano spiega che dalla creazione alla passione e morte di Gesù (collocata il 25 marzo del 29) sono intervenuti 5530 anni; ne mancano dunque 470 al compimento dei 6000 anni. Come egli stesso dichiara (cosa che permette di datare con precisione l’opera), l’autore sta scrivendo sotto i consoli Flavio Cesario e Nonio Attico Massimo, ovvero nel 397. Di quei famosi 470 anni ne sono trascorsi 369 (contando sia l’anno di partenza, il 29, sia quello di arrivo, il 397): ne rimangono dunque 101 e secondo Ilariano il mondo conoscerà la sua fine, e la prima resurrezione, nel 497 (sempre secondo un calcolo inclusivo: Lana, p. 84).
Una nota peculiare dell’opera è che Ilariano conosce non solo il passato del genere umano (cui s’interessa tuttavia sommariamente), ma anche e soprattutto il suo futuro: il secolo che intercorre dal suo presente al fatidico scoccare dei 6000 anni sarà puntualmente segnato dalle catastrofi di cui scrive Giovanni nell’Apocalisse. In Ilariano «non appare alcuna differenza nel grado della sua conoscenza del passato, del presente e del futuro: tutto è stato già scritto nella Sacra Scrittura: basta saperla leggere e fare i conteggi in maniera rigorosa (ratione cogente)» (Lana, p. 85). [F. Giannotti]