Edizione di riferimento:
A. Grillone, Gromatica militare: lo ps. Igino. Prefazione, testo, traduzione e commento, Bruxelles 2012 (Collection Latomus 339).
Il de metatione castrorum dello ps. Igino è un trattatello di disciplina castrense tramandato da un unico ms. del VI secolo (A), suddiviso in 58 capitoli. I primi capitoli informano della superficie che si assegna di solito alle coorti legionarie e ai uexillarii (capp. 1-5) e della zona ai lati del pretorio (capp. 6-13). Seguono i capp. 14-16, nei quali viene descritta la praetentura, e i capp. 17-19, nei quali vengono descritti la retentura e reparti stranieri. I capitoli 20-21 riguardano rispettivamente la via sagulare, che corre attorno al campo, e le varie tipologie di pianta d’accampamento; nel capitolo 22 si ricorda dove ogni reparto debba accamparsi, scorrendo la pianta d’accampamento per zone, prima i latera praetorii e la praetentura (capp. 23-24), poi la retentura, cui viene dedicato più spazio (capp. 25-29): viene infatti effettuato il calcolo per le cohortes equitatae, più complesso perché costituite da fanti e cavalieri, ma semplificato mediante una proporzione che valuta i cavalieri come fossero fanti, e vengono date informazioni integrative sulle cohortes peditatae, sulle truppe straniere e sulle truppe cammellate. Dopo un elenco dei vari reparti (cap. 30), nei capitoli 31-44 viene esposto il ‘nuovo sistema’ di metatio, suggerito per un esercito composto da tre legioni, affiancato dalle milizie ausiliarie. È lecito supporre che il ‘nuovo metodo’, di cui l’autore si vanta ai capitoli 45-47, consista nel disporre in maniera simmetrica le coorti di un esercito di tre legioni. I capitoli 48-58, che costituiscono l’ultima parte dell’operetta, passano in rassegna brevemente le varie fortificazioni (fossa, titulum, uallum, lorica, ceruoli, armorum ordines, agger, coxae, clauiculae), e ricordano infine, oltre alla scelta dei luoghi, gli ascensus ualli e i tormenta. È da sottolineare che - come si ricava dall’incipit del testo tràdito: Nunc papilionum tensionem cohortium supra scriptarum - l’opuscolo è lacunoso della parte iniziale, che forniva informazioni sulle coorti legionarie; inoltre dato che vengono offerte informazioni fino alle ultime righe della trattazione, senza una conclusione che corrisponda a quelle poste alle fine della prima e della seconda parte (capp. 22 e 45-47), alcuni studiosi (Gemoll, Lenoir) hanno suggerito che l’opuscolo sia lacunoso appunto della conclusione della terza parte e di tutto quanto l’opuscolo (contra Grillone).
Il titolo più noto dell’opera è quello di tradizione umanistica (ma accettato come genuino da Lange 1848) liber de munitionibus castrorum. Tuttavia Grillone, in considerazione del fatto che nell’opuscolo il termine con cui viene indicato l’argomento principale non è munitio, che denota le fortificazioni, ma metatio, ritiene che sia da preferire il titolo proposto dal Pontano de metatione castrorum liber.
Quanto alla datazione, Grillone valuta criticamente le proposte avanzate da diversi studiosi e rileva che terminus post quem e terminus ante quem abbastanza fondati possono essere considerati la testimonianza della distinzione in centurie delle coorti legionarie, risalente probabilmente all’età adrianea, e l’esistenza, nell’esercito descritto dallo ps. Igino, del legatus legionum, personaggio che viene attestato per l’ultima volta in una epigrafe databile al 253-259. Secondo il parere di Grillone vi sarebbero però altri elementi utili alla cronologia dell’opuscolo. Quanto al terminus ante quem, non sono trascurabili né la menzione dei cavalieri legionari (probabilmente sono tali almeno in parte gli equites di 52: et equites alterna uice castra circuire debent, in quanto il termine non è accompagnato da nessuno dei qualificativi generalmente presenti ad indicare i reparti di cavalleria ausiliaria; cf. Veg. mil. 3, 8, 19), che lo anticiperebbe al 242, anno in cui si colloca l’ultima epigrafe in cui sono ricordati i cavalieri legionari, né l’impiego del qualificativo prouinciales accanto a legiones, che indurrebbe a pensare a un’epoca anteriore all’editto di Caracalla del 212. Per converso, a far scendere il terminus post quem a un’età posteriore, potrebbe valere l’impiego di termini quali papilio, praetentura e retentura, che, almeno per quel che risulta finora, sono di uso tardo e inducono a pensare all’inizio del III secolo. [B. Strona]