Edizione di riferimento:
Ed. Ippolito, Antonella, Marii Victorini Explanationes in Ciceronis Rhetoricam, Corpus Christianorum, Series Latina CXXXII, Turnhout, Brepols 2006.
Tradito con il titolo di Explanationes, Commentum o Commentarium in Ciceronis Rhetoricam, il commento al De inventione è una delle tre opere profane di Mario Vittorino giunte fino a noi, insieme all’Ars grammatica e al De definitionibus. Talvolta esso compare nelle fonti sotto il nome di Q. Fabius Laurentius Marius Victorinus, frutto di un’antica corruttela dovuta forse a confusione del nome dell’autore con quello di un correttore, o dell’incipit dell’opera con l’explicit di quanto precedeva (Hadot 1971, 75; Ippolito 2006, XIV e XXXV-XXXVI). Il commento fu redatto a fini didattici e forse proprio nell’ambito dell’attività di scuola in un’epoca, il IV secolo, in cui l’opera ciceroniana cominciò a emergere come il manuale di retorica più autorevole per lo studio della retorica (Kennedy 1994, 276). Vittorino procede per lemmi per spiegare parole, precetti e affermazioni del De inventione. A fini esegetici numerose sono le citazioni letterarie, riflesso dell’attività erudita dell’autore: versi di Virgilio, passi di Sallustio, di Terenzio, delle orazioni dello stesso Cicerone. Se dal punto di vista retorico il commento non offre molti elementi di originalità rispetto all’insegnamento di Cicerone, interessanti appaiono soprattutto le digressioni filosofiche che caratterizzano il primo libro delle Explanationes, più ampio e accurato del secondo. Tali riflessioni, che riguardano concetti quali la virtù, l’anima, la natura, il tempo, l’Essere, prendono spunto dal testo del De inventione, ma lo interpretano alla luce delle concezioni personali di Vittorino, che attinge da fonti platoniche (per un’analisi approfondita, Hadot 1971, 77-101).
Della diffusione delle Explanationes in età tardoantica sono testimoni Gerolamo, che nella prefazione al commento a Ezechiele (In Ezech. 13, Praef.) ricorda le parole di Vittorino relative all’obscuritas (Mar. Vict. Rhet. I 14, 154-156), e Cassiodoro, Inst. 103, 19 Mynors, che ne raccomanda la lettura ai monaci di Vivarium. Alla fine del VII secolo o all’inizio del successivo fu vergato il più antico e autorevole testimone delle Explanationes, il codice Köln, Dombibliothek 166, già Darmstadiensis (D, consultabile al link http://www.ceec.uni-koeln.de/). Prima della fine del IX secolo non si hanno tracce precise della fruizione del commentario, se si esclude un cenno di Alcuino (MGH Poet. I 204, 1546-1549) alla presenza a York di alcune opere di Vittorino che forse riguardavano la retorica e la logica, ma delle quali resta ignoto il titolo. L’opera di Vittorino conobbe invece un’ampia diffusione a partire dalla fine del IX secolo, quando il De inventione tornò a rivestire un ruolo di primaria importanza nei programmi scolastici: nei codici di X e XI secolo testo ciceroniano e commento tardoantico sono spesso associati, talvolta a brani alternati. In questo periodo la presenza delle Explanationes è documentata soprattutto nelle biblioteche dell’Europa settentrionale, tra cui Lorsch, Fulda, Fleury, Metz; solo due sono invece i codici di origine italiana: uno appartenne al Petrarca (Paris, Bibliothèque Nationale de France, Lat. 7748, X sec., disponibile al link https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b8446931p/f2.image), l’altro a Giovanni Aurispa (New York, Columbia University, Coll. G.A. Plimpton, 103, XI sec.). Dopo un arresto nella produzione di copie tra il XII e il XIV secolo, essa riprese nel periodo umanistico, a cui appartengono una ventina di testimoni. Nel 1474 apparve a Milano, per i tipi di Antonio Zarotti, l’editio princeps, seguita dall’aldina del 1522 e da quella parigina di Robert Estienne del 1537; nel 1599 l’opera di Vittorino fu inclusa nella raccolta degli Antiqui Rhetores Latini di François Pithou.
Antonella Ippolito, autrice della nuova edizione del 2006, la prima dopo quella nel corpus dei Rhetores Latini Minores di Karl Halm (Leipzig 1863, pp. 155-304), ha ricondotto i codici a due rami di tradizione: il primo è rappresentato dal manoscritto coloniense (D), da un codice vaticano a esso affine (Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Pal. Lat. 1588, https://digi.vatlib.it/view/bav_pal_lat_1588) e dal codice Oxford, Bodleian Library, D’Orville 152, copiato intorno al 1500 ma testimone di uno stadio alto della tradizione e di un testo vicino a D; l’altro comprende i restanti codici noti, appartenenti a due famiglie che discendono da un iparchetipo esito di una revisione soprattutto grammaticale. [M. Callipo]