Edizione di riferimento:
Égérie, Journal de Voyage (Itinéraire), introduction, texte critique, traduction, notes, index et cartes par P. Maraval, Paris 1982.
L’opera, che si presenta come racconto di un pellegrinaggio in Terra Santa scritto da una donna per inviarlo a certe “sorelle”, ci è pervenuta attraverso un unico manoscritto scoperto ad Arezzo nel 1884 e risulta anonima e incompleta perché il manoscritto è mutilo all’inizio e alla fine e contiene due lacune interne. Sull’identità dell’autrice il testo fa capire soltanto che proveniva dall’Occidente e doveva essere di condizione benestante. Sia il nome dell’autrice sia il titolo sono frutto di ricostruzioni successive degli studiosi. Il titolo è riportato da editori e studiosi, in considerazione del contenuto, sia come Peregrinatio o Peregrinatio ad loca sancta sia come Itinerarium, mentre il nome dell’autrice è variato nel tempo. Inizialmente fu Silvia, in quanto lo scopritore, G.F. Gamurrini, l’aveva identificata con Silvia di Aquitania, una vergine altolocata della fine del IV sec.; ma in seguito fu decisiva l’identificazione con “la beata monaca” elogiata per i suoi pellegrinaggi in Oriente dall’eremita Valerio del Bierzo (in Galizia, Spagna), vissuto nel VII sec., in una lettera ai suoi confratelli: il nome è riportato dai manoscritti di questa lettera con diverse grafie (Aetheria, Etheria, Egeria, ecc.) e solo negli ultimi decenni si è imposto quello di Egeria, che risulta più corretto. Si è pensato quindi che Egeria fosse una monaca spagnola, ma c’è anche chi l’ha ritenuta proveniente dall’Aquitania (Gallia) per un significativo riferimento al fiume Rodano; viene oggi messo in dubbio che fosse una monaca (o badessa) e scrivesse alle consorelle: potrebbe essere una nobildonna appartenente a un circolo di dame appassionate alla Scrittura, simile al circolo romano dell’Aventino. Anche la data di composizione è stata oggetto di più ipotesi (con oscillazioni tra fine del IV sec. e metà del V, ma anche oltre); sulla base di informazioni (su eventi storici, vescovi, ricorrenze liturgiche) ricavabili dallo scritto si è arrivati a fissare il periodo di viaggio raccontato nella parte rimasta tra la fine del 383 e i primi mesi del 384 e si è supposto che a quel momento sia stata conclusa la relazione scritta; tuttavia l’intero viaggio durò tre anni (17,1) e sarebbe incominciato nel 381.
Il testo pervenuto comprende due parti. La prima è costituita dal resoconto di quattro itinerari ispirati alla Bibbia: l’ascesa al Monte Sinai, con ritorno a Gerusalemme lungo la valle di Gessen (capp. 1-9); il viaggio e l’ascesa al Monte Nebo, dove morì Mosè (capp. 10-12); il percorso fino a Carneas in Idumea, la città di Giobbe (capp. 13-16); durante il viaggio di ritorno a Costantinopoli: il passaggio in Mesopotamia, con soste ad Edessa (tomba di san Tommaso, palazzo del re Abgar), a Charris (pozzo di Giacobbe) e visite di Tarso, Seleucia (santuario di Tecla), Calcedonia (santuario di s. Eufemia) (capp. 16-23). La seconda parte è incentrata sui riti liturgici che si svolgevano a Gerusalemme nei giorni della settimana (capp. 24-25), all’Epifania (capp. 25-26), in Quaresima (capp. 27-29), nella settimana santa (capp. 30-38), da Pasqua all’Ottava di Pasqua (capp. 39-40), dall’Ottava fino a Pentecoste e dopo (capp. 41-44); riporta pure la catechesi pre- e post-battesimale (capp. 45-47) e termina con la Festa delle Encenie, ossia della consacrazione delle chiese del Martyrium e dell’Anastasis (capp. 48-49), ma la descrizione rimane incompleta per l’interruzione del manoscritto. Poiché la prima parte ha una conclusione epistolare specifica, si è supposto che la seconda parte costituisca un’appendice oppure il contenuto di un’altra lettera. Sulla base di cenni interni al testo e con l’ausilio della lettera di Valerio del Bierzo e del Liber de locis sanctis di Pietro Diacono (XII sec.), che utilizzò il Codex Aretinus integro, Maraval ha tentato di ricostruire la parte perduta dell’opera, che probabilmente descriveva: gli edifici sacri di Gerusalemme, una visita in Egitto e nella Tebaide, forse un’altra in Samaria e Galilea (con salita sul Tabor), escursioni in Giudea, il viaggio di andata al Sinai.
La Peregrinatio Egeriae ha suscitato molto interesse per diversi motivi: fornisce dati originali sugli edifici ecclesiali e monastici esistenti a Gerusalemme e nei territori visitati, sulla liturgia e la catechesi, sull’organizzazione dei pellegrinaggi e le pratiche religiose connesse, sulla persona e la cultura di Egeria, ma soprattutto sulla lingua e sullo stile usati, che risultano del tutto particolari: si riconoscono tratti propri del “latino volgare”, che non escludono però la presenza di costrutti classici e risentono sia della lingua parlata sia del modello biblico. [C. Mazzucco]