Edizione di riferimento:
Prisciani Caesariensis Opuscula, vol. I. Edizione critica a cura di Marina Passalacqua, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1987.
Prisciano, il più famoso dei grammatici latini insieme a Donato, operò a Costantinopoli tra la fine del V e l’inizio del VI secolo, come dimostra il panegirico per l’imperatore Anastasio, e doveva essere già morto all’inizio del regno di Giustiniano nel 527. E’ possibile almeno in parte stabilire una cronologia delle sue opere. Del De figuris numerorum, De metris Terentii, Praeexercitamina si può dire che furono concepiti unitariamente su invito di Q. Aurelio Memmio Simmaco, console nel 485, giustiziato nel 525, al quale è indirizzata la lettera che precede le tre operette. Il trittico rientrava perfettamente nel programma politico-culturale di Simmaco, che vedeva nella presenza costante dell’elemento greco accanto a quello latino uno dei punti di forza del tentativo di salvare gli ideali di un impero in via di disgregazione. Le tre operette sono probabilmente l’opera grammaticale più antica di Prisciano pervenutaci; si possono forse datare prima del 485 per il fatto che Simmaco non è chiamato consul, come avviene nelle Institutiones per il dedicatario Giuliano. Per rinvii interni l’Institutio de nomine et pronomine et verbo e le Partitiones duodecim versuum Aeneidos principalium sono, in ordine, posteriori alle grandi Institutones grammaticae, uno dei pilastri del sapere medievale, originali nel campo del latino soprattutto per gli ultimi due libri dedicati alla sintassi.
Il De figuris numerorum è un’opera del tutto nuova nel mondo latino; è strutturato in una prima parte de figuris numerorum e in una seconda de ponderibus (fonti per il de figuris Apollonide e Lucio Tarreo, per il de ponderibus Arrunzio, Dardano e Didimo). All’interno di ciascuna parte troviamo una sezione di tipo teorico, seguita, rispettivamente, da un elenco dei nomina numerorum con esempi tratti dagli auctores e da una serie di exempla auctorum; entrambe le sezioni esemplificative sono introdotte dall’autore con la stessa formula.
Il De metris Terentii è diviso tra parti teoriche e parti dedicate agli esempi tratti dagli auctores (fonti: Terenziano, Asmonio e Giuba). L’opera nasce dalla volontà di dimostrare come Terenzio e gli altri autori arcaici di tragedia e commedia scrivessero in versi – più precisamente in giambi e trochei -, e come anche le deviazioni dal canone del trimetro greco siano in realtà imitazioni di particolarità esistenti nel greco. Troviamo prima una sezione dedicata alle teorie dei grammatici latini sull’argomento seguita da una serie di esempi, poi una sezione greca formata sostanzialmente solo da esempi, chiaramente denunziati come facenti parte di trattati composti su questo tema.
I Praeexercitamina sono traduzione di quei Progymnasmata il cui autore, come risulta dall’explicit dei nostri codici, era già incerto tra Ermogene e Libanio nell’epoca a cui risale l’archetipo della nostra tradizione. E’ indispensabile durante la lettura un continuo riferimento al modello greco per spiegare e giustificare il testo pervenutoci. Si tratta di un lavoro eseguito con sufficiente scrupolo anche se con una certa rapidità, un’opera che ben si affianca agli altri due trattati nell’intento che esprime di ottenere mediante la diffusione dei fondamenti della retorica greca una renovatio del mondo classico.
La struttura del trittico sembra mostrare che venne redatto in un tempo relativamente breve, mettendo insieme materiale preesistente e senza curare le saldature tra le diverse fonti, attitudine questa presente anche nelle Institutiones. Le tre operette ebbero a Roma e in Italia il loro centro di diffusione e tendono a conservare nei codici la loro natura di corpus. Dopo l’XI secolo, contrariamente a quanto succede per le Institutiones, la fortuna del trittico andò rapidamente scemando mentre l’interesse rinasce vivissimo dal sec. XIV. [M. Passalacqua]