Edizione di riferimento:
Grammatici Latini, IV. Probi Donati Seruii qui feruntur de Arte grammatica libri, ex recensione H. Keilii, Notarum Laterculi, ex recensione Th. Mommseni, Hildesheim 1961, 3-43 (reprografischer Nachdruck der Ausgabe Leipzig 1864).
I Catholica Probi sono tramandati integralmente in una sezione, originariamente autonoma, della parte tardoantica del Neapolitanus Latinus 2 databile nel V2 secolo. Una riproduzione parziale e lacunosa dei soli catholica nominum è contenuta inoltre nel codice Parisinus Latinus 7520, collocabile tra fine VIII e inizio IX secolo e affatto indipendente dal napoletano (Simoni 1988). A seguito della scoperta dei codici grammaticali a Bobbio nel 1493 da parte di Giorgio Galbiate, Aulo Giano Parrasio, giunto in possesso del Neapolitanus, fece realizzare una copia dei Catholica a cavallo tra il XV e il XVI secolo contenuta nel Neap. IV A 17. Essa fu adoperata come minuta di stampa per la realizzazione curata dall’umanista dell’editio princeps, stampata a Vicenza nel 1509 (Parrasio 1509). Su di una copia personale della stampa (S. Q. XXIX C 15, Biblioteca Nazionale di Napoli) si rinvengono molte correzioni di mano di Parrasio, che l’umanista fece per gran parte alla luce di una precedente e migliore copia dei Catholica realizzata da Galbiate poco dopo la scoperta (il Neap. IV A 11), e che egli ottenne a Roma da Tommaso “Fedra” Inghirami, probabilmente in vista di una futura riedizione (Bramanti 2016). Su una delle successive ristampe della princeps si basò l’edizione di van Putschen 1605, nel cui testo l’editore accolse, oltre a congetture personali, anche alcune lezioni provenienti dal manoscritto parigino comunicategli da J. Bongars. La prima edizione critica risale al 1831 ed è contenuta nel Corpus Grammaticorum Latinorum di Lindemann, il quale, pur avendo visto di persona il manoscritto napoletano, continuò a considerare i Catholica come un secondo libro rispetto al cosiddetto De ultimis syllabis ad Caelestinum, sulla scorta dell’erronea associazione risalente alla princeps di Parrasio. I Catholica furono editati per l’ultima volta come opera autonoma nel IV volume del corpus di Keil, che per il testo, però, si basò sostanzialmente sul lavoro di Lindemann, con solo alcuni miglioramenti personali e altri talvolta ricavati dagli appunti del precedente editore (schedae Lindemanni), e con un utilizzo parziale e sporadico del testimone parigino. La forte somiglianza che i Catholica mostrano di avere con il secondo libro di Sacerdote è stata oggetto di una lunga discussione, che fu risolta da Steup 1871, pp. 150-159, il quale dimostrò inequivocabilmente che i Catholica non erano altro che una versione del secondo libro di Sacerdote veicolata sotto la falsa attribuzione a Probo, separatasi dal filone principale probabilmente abbastanza presto e di certo già a partire dal IV secolo (visto che era nota a Servio, Aen. 2, 15 instar, nomen est indeclinabile, licet Probus instaris declinaverit, ut nectaris, da GL IV 17, 2). Condividendo alcuni errori congiuntivi, le due versioni del testo a noi giunte risalgono a un comune archetipo. I Catholica non hanno nessuna significativa e macroscopica differenza sul piano contenutistico e strutturale rispetto a Sacerdote II, tanto che ad essi si ricorre per sopperire alla perdita della parte iniziale del secondo libro (GL IV 3, 2-6, 24) e per colmare sostanzialmente la caduta del quinto fascicolo (di cui delle porzioni sono state recuperate grazie ai fragmenta Taurinensia), ossia la sezione che va da GL IV 10, 20 a 25, 12. Dunque, per una descrizione del suo contenuto ci si può rifare alla scheda che abbiamo allestito per le artes del grammatico. Tuttavia, le parallele vicende di trasmissione vissute dalle due opere hanno comportato delle modifiche che, se confrontate tra loro, rivelano un diverso grado di interpolazione che rende immetodico proporre in sede ecdotica una reductio ad unum, come pure è stato fatto da Bornecque 1907, pp. 128-136, per la sola sezione sulle clausole ritmiche (GL IV 40, 14-43, 10 = GL VI 492, 25-495, 26). Così, seppure i Catholica si conservino integralmente e siano stati giudicati quasi unanimemente meno interpolati rispetto a Sacerdote II, la loro attribuzione a Probo ‒ sia essa opera di bibliotecari, come crede Della Casa 1973, p. 153, oppure esito di un’attrazione esercitata dalla fama dell’illustre grammatico di I d. C., ipotesi sostenuta da Pugliarello 2014, p. 66 ‒ ha costituito un ideale riparo per l’emersione di un’autorità collettiva, identificabile con gli ambienti scolastici che hanno fatto uso del testo, che ha lasciato tracce del suo passaggio. Tra queste basti qui segnalare le quattro menzioni esplicite di Varrone nei Catholica (GL IV 7, 3-11; 30, 26-28 e 30-31; 31, 20-23) del tutto assenti nell’opera trasmessa sub nomine Sacerdotis, poiché del tutto incompatibili con i metodi compositivi, le convinzioni dottrinali e le auctoritates di riferimento proprie del grammatico (Bramanti 2018). D’altra parte, però, proprio la notorietà di Probo deve aver condizionato la fruizione di quest’opera da parte dei grammatici successivi, i quali, primo fra tutti Prisciano, adoperarono i Catholica con la convinzione di attingere ai dettami di un antico maestro, senza sapere invece che si stavano affidando agli insegnamenti grammaticali di un autore di certo meno famoso, ma, forse, non meno competente. [Andrea Bramanti]