Edizione di riferimento:
Rufini Antiochensis Commentaria in metra terentiana et de compositione et de numeris oratorum, edizione critica a cura di P. D'Alessandro, Hildesheim - Zürich - New York 2004 (Collectanea Grammatica Latina 3), 7-20.
Il commentario raccoglie una serie di testimonianze di grammatici e commentatori, disposti senza un ordine cronologico, con l’intento d’illustrare che i testi della produzione drammatica latina, in particolare di Plauto e Terenzio, presentano una natura metrica (p. 19,19-20 d’A.: mensuram hoc est μέτρον esse in fabulis Terentii et Plauti et ceterorum comicorum et tragicorum). Rufino procede riportando meccanicamente le testimonianze, introdotte perlopiù da formule semplici (Diomedes sic, Charisius sic), solo in qualche caso arricchite da qualche riferimento ulteriore (ad es. Asper in commentario Terentii) o corredate delle rispettive citazioni autoriali. Il più citato fra gli autori antichi è Varrone, del quale sono riportati tre frammenti dal De sermone Latino ad Marcellum, ma è menzionata anche l’auctoritas di Cicerone, Quintiliano e Capro. Al metricologo di età neroniana Cesio Basso, esplicitamente citato, risalgono probabilmente anche altre notizie, come la teoria varroniana sulla struttura del settenario giambico (d’Alessandro 2001). Per alcuni metri sono trascritte anche pericopi dell’opera in versi di Terenziano Mauro. Più numerosi sono i nomi di grammatici recenti: Carisio, Diomede, Vittorino, Servio. Di particolare importanza sono le notizie che Rufino attinge a opere perdute e autori di rara attestazione indiretta, come Scauro e Sisenna, commentatori di Plauto, e Aspro ed Evanzio quali autori di un commento terenziano; a quest’ultimo grammatico, sulla scorta proprio di Rufino, è attribuito il trattatello De fabula, tràdito anonimamente assieme alla sezione introduttiva dei Commentarii Donatiani a Terenzio (Cupaiolo 1992, pp. 7-11).
Il testo di Rufino è tradito da 28 manoscritti, di cui almeno sette sono databili al IX secolo e contengono anche le Institutiones di Prisciano e/o i suoi tre opuscoli ad Symmachum di argomento affine (de figuris numerorum, de arte metrica e de rhetorica), mentre altri sette risultano codices descripti. Rispetto all’edizione parziale e ‘provvisoria’ di Halm 1863 (relativa solo alla seconda sezione dell’opera, pp. 575-584: Versus Rufini V. C. litteratoris de compositione et de metris oratorum), basata su tre codici (Paris. Lat. 7496 e 7501, collazionati per lui da Keil, e Monac. Lat. 18375), e a quella integrale di Keil 1874 (GL VI, pp. 547-578), che si avvalse principalmente di quattro testimoni (i due succitati mss. della BnF, più il Paris. Lat. 7498 e il Vat. Reg. Lat. 733), quella curata da Paolo d’Alessandro nei CGL è fondata su una ricognizione completa della tradizione manoscritta. L’editore critico ha individuato due subarchetipi, α e β, il primo dei quali è rappresentato direttamente da quattro testimoni più antichi e due più tardi, mentre il secondo, che reca una traccia migliore dei passi greci, è bipartito fra il Paris. Lat. 7501 del IX secolo e il maggior numero dei manoscritti, raccolti nella famiglia γ, da cui dipendono le edizioni umanistiche. Una posizione a sé stante rispetto ai due subarchetipi è assegnata al ms. Einsiedlensis 339, della seconda metà del IX secolo, ritenuto il testimone più vicino all’archetipo e caratterizzato da lectiones singulares, mentre un altro ms., il Palat. Lat. 1741, sebbene del XV secolo, presenta delle lezioni corrette e una recensione diversa, che potrebbero anch’esse risalire a un antico codice perduto. L’archetipo doveva presentare diversi errori, alcuni dei quali sanati già in epoca umanistica, mentre vi sono almeno tre loci desperati, uno dei quali (p. 20,3 d’A. = 565 K.: †sacerdos qui et domatus†), nella sequenza finale di auctores attestanti la presenza di una misura metrica nelle opere drammatiche, ha sollecitato diversi interventi dei filologi, che perlopiù intravedono nella corruttela i nomi di Plozio Sacerdote ed Elio Donato.
L’opera di Rufino fu pubblicata la prima volta nel 1470, nell’editio princeps di Prisciano realizzata a Venezia da Vindelino da Spira. [A. Lagioia]