Edizione di riferimento:
L. Munzi, Spigolature grammaticali in una silloge scolastica carolingia, “Bollettino dei Classici” ser. III, 14, 1993, pp. 110-113.
Sono qui editi i capitoli de syllabis, de accentu, de pedibus, appartenenti a un breve trattatello prosodico-metrico, un enchiridion in grado di fornire ai principianti i fondamenti dell’arte della versificazione: le parole stesse dell’ignoto compilatore – verosimilmente uno dei molti Sergii che la tradizione artigrafica ci ha consegnato far il V e il IX secolo – ne definiscono la compendiosità (verum naturaliter longas et breves deprehendere cupiens hoc habeat fidele c o m p e n d i u m ) e il lettore-tipo, che con l’aiuto dei testi poetici apprenderà a riconoscere la prosodia delle prime e delle ultime sillabe e ad analizzare con ancor maggiore cautela la prosodie delle sillabe medie. Appare evidente la consonanza con l’insegnamento del magister Servio nel suo commento all’ars di Donato (GL IV 423, 10 – 425, 4) e soprattutto nel De finalibus syllabis (GL IV 449-455), ove appunto si insegna al discente a utilizzare i poetica exempla per individuare la corretta prosodia delle sillabe iniziali e finali, e a individuare quella delle sillabe medie attraverso l’osservazione dell’accento nel sistema flessivo. La dottrina impartita non sembra nel complesso discostarsi da quella impartita nelle scuole della tarda antichità: la chiara dipendenza da Servio, nonché l’esemplificazione quasi totalmente basata sul testo virgiliano (mentre mancano del tutto citazioni di poeti cristiani), induce a collocare la compilazione di questi capitoli grammaticali nella prima metà del V secolo. All’interno di un insegnamento del tutto tradizionale, qualche elemento di novità si può riscontrare talora nell’esemplificazione, dove sono utilizzati versi non altrimenti citati nei manuali grammaticali: è il caso di tre versi consecutivi di Virgilio (Aen. 1, 120-122) sfruttati per fornire esempi dei tre diversi tipi di punteggiatura noti come distinctio, media distinctio e subdistinctio, nonché di un esametro lucreziano (6, 1135), in cui fra l’altro la tradizione indiretta offerta da questo testo offre una significativa conferma di una lezione sino ad oggi accolta nelle principali edizioni critiche come congettura umanistica. [L. Munzi]