Edizione di riferimento:
Gromatici Veteres, ex recensione C. Lachmanni, diagrammata edidit A. Rudorffius, Berolini 1848, 271-272.
All’interno del cosiddetto Corpus Agrimensorum Romanorum, compilazione tardoantica di trattati, testi ed excerpta di argomento o di interesse agrimensorio, si trovano, fra molti altri, alcuni testi di carattere giuridico. Uno di questi testi è il De sepulchris.
Il testo è tramandato, da un canto, dal codice Arceriano A (Wolfenbüttel, Herzog-August-Bibliothek, Guelferb. 36.23 Aug. 2º, elemento II = ff. 2-83, s. VIin); dall’altro dalla classe Palatina, i cui capostipiti sono Vaticano, Pal. lat. 1564 (820-830) e Wolfenbüttel, Herzog-August-Bibliothek, Guelferb. 105 Gud. lat. 2º (s. IX3/4). Nell’Arceriano il testo, mutilo del principio (per il quale ci offre la sua testimonianza un descriptus dell’Arceriano, vale a dire, Jena, Thüringer Universitäts- und Landesbibliothek, ms. Prov. f. 156, s. XVI1/4), compare fra la Fluminis uaratio di Nipso e il Liber colonoriarum. Nella classe Palatina, invece, al De sepulchris sono stati aggiunti altri testi, sostanzialmente excerpta, allo scopo di produrre una sorta di raccolta dottrinale intorno all’idea di proprietà e alle diverse circostanze che possono creare controversie fra proprietari riguardo ai limiti precisi delle rispettive proprietà. Questa raccolta giuridica è formata da: i) il capitolo 26, De finium regundorum actione, del secondo libro del Codex Theodosianus, cioè cinque disposizioni imperiali sulla questione dei confini, ii) un breve testo De poenis relativo alla sanzione prevista per coloro che tolgono le pietre di confine oppure sradicano alberi che segnano i confini dei fondi, estratto dal V libro delle Sententiae di Paolo, iii) De sepulchris, iv) tre constitutiones tratte dalle Nouellae teodosiane, v) una parte del primo capitolo (appunto De finium regundorum) del decimo libro dei Digesta, in particolare le tre prime sezioni complete più la quarta fino al paragrafo 5.
Il testo De sepulchris compare sotto questo titolo in tutta la tradizione manoscritta della classe Palatina e anche nel codice di Jena, dove, tuttavia, non è da escludere la possibilità di una contaminazione con qualche testimone della classe Palatina (la lezione del Arceriano è ignota, poiché la prima parte del testo, come indicato precedentemente, è caduta). In ogni caso, sembra da respingere la forma Fragmentum de monumentis finalibus con cui Toneatto (1994: 158) si riferiva al testo De sepulchris nella sua descrizione del codice Arceriano A, che è stata accolta con una certa simpatia da alcuni studi successivi.
Il testo, apparentemente completo, presenta una fisionomia tribolata e, con ogni verosimiglianza, deformata dalle interpolazioni (così lo riteneva anche Lachmann). Ne risulta un testo che non sempre è facilmente comprensibile e, in effetti, proprio sin dall’inizio, alcuni elementi destano perplessità nel lettore. Se la formula incipitaria è vera, allora il testo del De sepulchris apparterrebbe ad un provvedimento di Tiberio rielaborato, durante uno dei suoi consolati, a partire da una disposizione dei triumviri Ottaviano, Antonio e Lepido; ma purtroppo non è possibile accertarne l’attendibilità (e, difatti, qualche elemento linguistico potrebbe puntare in direzione diversa). Come anche per altri testi del Corpus agrimensorum Romanorum, rimane il dubbio sulla possibilità che il testo possa, in qualche forma, aver subito un rifacimento tardo.
Il De sepulchris riguarda specificamente le diverse funzioni dei monumenti funerari legate alla loro condizione inamovibile e inviolabile: 1) monumenti collocati presso le strade pubbliche per lasciare testimonianza imperitura della persona seppellita, 2) monumenti eretti presso gli edifici allo scopo di lasciarli ai discendenti come atti o documenti di proprietà, 3) monumenti costruiti vicino agli edifici, conformemente alla legge Sempronia e Giulia, con una funzione di delimitazione di confine, 4) monumenti collocati entro i terreni e finalizzati a garantire che la loro superficie resterà immutata, 5) monumenti costruiti su strade che attestano il loro carattere pubblico. [D. Paniagua]