Edizione di riferimento:
C. Stock, Sergius (Ps.-Cassiodorus) Commentarium de oratione et de octo partibus orationis Artis Secundae Donati. Überlieferung, Text und Kommentar. Sammlung wissenschaftlicher Commentare, München/Leipzig 2005.
La tradizione manoscritta del Commentarium è oggi rappresentata dal noto ms. Parisinus 7530, miscellanea grammaticale realizzata tra il 779 e il 796 nel monastero di Monte Cassino da un singolo copista (Holtz 1975): il commento è conservato ai ff. 183v-195v, limitatamente ai capitoli De oratione e De nomine. Il testo completo si deve a J. Garet, monaco dell’abbazia benedettina di Rouen, che nel 1679, nel pubblicare un’edizione degli scritti superstiti di Cassiodoro, collocava il Commentarium nella seconda parte dell’edizione, tra gli scritti enciclopedici dell’erudito romano. Lo studioso affermava di averlo trovato in un codice della Biblioteca di Mont-St-Michel e lo attribuiva a Cassiodoro integrando l’incipit lacunoso Incipit commentarium S...cii con la congettura Incipit commentarium S Ci, convinto di essere di fronte a uno dei gemina commenta a Donato ricordati da Cassiodoro nelle Institutiones (Inst. 2,1: cuius [scil. Donati] gemina commenta reliquimus; ma sulle diverse interpretazioni dell’espressione cassiodorea, ora intesa come riferimento a commenti effettivamente composti dal grande senatore, ora come testi grammaticali solo reperiti e fatti trascrivere da Cassiodoro, si vedano Holtz 1981, 248-50; Stock, 418-19; Munzi 2005, 225-26). Oggi perduto, il manoscritto utilizzato da Garet può tuttavia essere ricostruito nella sua facies attraverso quanto è desumibile dall’edizione dello stesso benedettino; plausibile una datazione piuttosto alta, comunque antecedente il XII secolo (Garet lo definisce vetustissimus) e un’origine irlandese. L’edizione di Garet consacra così il Commentarium come opera cassiodorea e ancora tra gli scritti dell’illustre senatore romano il testo viene riedito all’interno della Patrologia Latina. Nel corso degli anni, l’attribuzione a Cassiodoro è ancora sostenuta da Cappuyns (p.1374), Fontaine (106 n.2), Holtz 1981 (137 ss.), mentre già Keil (GL,VII, 140-141 n.) seguito dal Manitius (49 n.1), rigettava l’ipotesi. Successivamente saranno Löfstedt (311 ss.) e la Law (18) a ipotizzare che il lacunoso S…cii possa essere integrato in cii (sulla grafia Sercii per Sergii in codici altomedievali: Law; Munzi 2005, n.11). L’ultimo editore del Commentarium, Christian Stock, attraverso una puntuale e approfondita analisi del testo, soprattutto nei suoi aspetti linguistici, attribuisce definitivamente l’operetta a ‘Sergius’, da un lato recuperando e facendo propria la proposta testuale gii, pur ammettendo la plausibilità di una variante grafica del nome Sergius per Servius (419-20), dall’altro riconsiderandone i rapporti con il resto della tradizione, per cui il Commentarium costituirebbe una sorta di punto di snodo tra Servio e i commenti di V-VI secolo (Pompeo, Cledonio), e con Cassiodoro stesso (Stock, 415-421). Significative analogie riscontrate con il De littera (GL IV 475-485) spingono Stock a ipotizzare una comune paternità per i due testi.
L’opuscolo si iscrive dunque nella produzione postserviana di esegesi a Donato, nello specifico come commento a Maior II: il testo infatti, dopo l’introduzione De oratione, si articola in sezioni dedicate a ciascuna parte del discorso (De nomine, del quale si considerano definitio, qualitas, comparatio, genera, numeri, figurae, casus; De pronomine; De verbo; De adverbio; De participio; De coniunctione; De praepositione; De interiectione), riproducendo così fedelmente la struttura donatiana, nella quale si innestano comunque materiali derivati da Servio. Nuovi, rispetto all’opera di Donato, alcuni inserimenti, ad esempio la definizione immediata di oratio: quasi oris ratio; più ampie alcune sezioni, a cominciare da quella de nomine: in questa prospettiva, data la sproporzione tra de nomine e le altre parti, Munzi ritiene che il testo attuale rappresenti una versione ridotta di quella originaria (228); la critica, in più punti, delle affermazioni del maestro riprende talvolta riflessioni di Servio, passate poi anche a esegeti quali Cledonio e Pompeo (si veda, in tal senso, il comune dissenso sulla derivazione, asserita da Donato, dell’avverbio indulgenter dal participio indulgens); in altri casi Sergio sembra procedere in maniera più autonoma (è il caso della sezione de verbo, in cui il grammatico contesta a Donato l’anticipazione, nello schema, dei modi rispetto alle forme e discute alcuni punti della trattazione dei frequentativi e degli incoativi).
Rispetto all’esemplificazione donatiana, piuttosto parca e chiusa nell’alveo di Virgilio, l’autore del Commentarium, inserendosi nella più ampia utilizzazione di exempla avviata da Servio, fa ricorso a una sessantina di citazioni, il più delle volte letterali, tra le quali, accanto alla presenza preponderante del poeta augusteo, si leggono excerpta da Sallustio, Orazio, Terenzio, Plauto: il testo si configura così a tutti gli effetti come una grammatica scolastica, che utilizza come modelli gli auctores canonici già a partire dalla prima età imperiale (Stock, 395). A parte vanno però considerate due citazioni, una tratta secondo l’editore da Paolino da Nola (carm. 26, 352: dulce sapit), un’altra da Stazio (Theb. 8, 468): nel caso di Stazio si tratta probabilmente di un’interpolazione (la citazione, a proposito dell’ablativo in –i dei nomi di terza declinazione, è attribuita nel testo a Lucano e si scosta comunque dalla tradizione diretta: igne viam scandens contro igne viam rumpens di Stazio: Stock, 395); più significativa risulterebbe la citazione da Paolino, utilizzata per esemplificare la cognatio tra nome e avverbio, peraltro all’interno di un’opera che in altri contesti richiama l’ambiente campano (si vedano i riferimenti a Baia e Pozzuoli, a Capua: Stock 421), così da far pensare a un legame personale del grammatico con Paolino o quanto meno con la Campania: citazione che, se autentica, ipotecherebbe fortemente la datazione, indicando nel 402, anno di composizione del carme del Nolano, un possibile termine post quem per l’opuscolo grammaticale (Stock, 395-96): ma si vedano nello specifico, le riserve avanzate da Munzi 2005, 231-32, che limita la collocazione all’area italica e alla prima metà del V secolo e che inoltre ritiene nel complesso poco cogente l’individuazione di coloritura e riferimenti cristiani all’interno dell’operetta.
Il Commentarium, citato a partire dalle Etymologiae di Isidoro, risulta a più riprese presente nei testi grammaticali di VII-IX secolo, con esplicite riprese, in particolare, all’interno dell’Ars Ambrosiana. [A. Di Stefano]