Edizione di riferimento.
P. Vegeti Renati digestorum artis mulomedicinae libri, edidit Ernestus Lommatzsch, Lipsiae, in aedibus B. G. Teubneri, 1903, pp. 277-306.
Tradizionalmente si è pensato che Vegezio avesse scritto soltanto due trattati tecnici, uno di tecnica militare, l’Epitoma rei militaris, e un altro di medicina veterinaria, i Digesta artis mulomedicinalis (ovvero Mulomedicina, secondo il titulus uulgatus dell’opera ormai presente nella tradizione manoscritta), entrambi in quattro libri. Tuttavia, in tempi recenti l’ipotesi che il quarto libro dei Digesta artis mulomedicinalis sia stato, in realtà, un opuscolo indipendente sulle malattie bovine, intitolato probabilmente De curis boum epitoma (ex diuersis auctoribus), è diventata l’idea dominante.
A quanto pare, la stesura dell’opera di veterinaria si trovava ormai in fase di ordinatio («Mulomedicinae me commentarios ordinante») quando, per causa di un’epidemia che stava provocando la malattia e morte dei bovini, gli amici e concittadini di Vegezio gli chiesero di cercare nella letteratura tecnica precedente precetti finalizzati a preservare e ristorare la salute di questo tipo di animali, per poi metterli per scritto e renderli disponibili a un pubblico di lettori. Come risultato di tale richiesta, Vegezio interruppe il suo lavoro sui Digesta per produrre quello che egli stesso denomina libellus paruissimus, nel quale - come anche prima con l’Epitoma rei militaris e i Digesta artis mulomedicinae - raccoglie selezionatamente da auctores precedenti tutta una serie di contenuti ridotti all’essenziale e liberati da ogni elemento superfluo o banale; tutto ciò riscritto in un linguaggio comprensibile ed accessibile ad un lettore medio, di un livello di cultura discreto (ex diuersis auctoribus enucleata collegi pedestrique sermone in libellum paruissimum contuli). Nella sua prefazione, Vegezio dichiara che, idealmente, vorrebbe poter essere compreso dal bubulcus, senza perciò meritare il rimprovero dello studioso (nec scholasticus fastidiat et bubulcus intelligat).
La tradizione manoscritta del De curis boum epitoma non è, oggi, separata da quella dei Digesta artis mulomedicinae, il che sembrebbe indicare una circolazione molto presto abbinata di entrambe le opere. Quasi una ventina di codici tramanda il testo di questo opuscolo, sempre insieme a quello dei Digesta, e lo presenta sia come quarto libro dell’opera, subito dopo il terzo, sia come terzo libro, collocato a circa metà del secondo libro (precisamente fra i capitoli 64 e 65), posizione dovuta senz’altro a una trasposizione di alcuni quaternioni nell’iparchetipo dal quale discendono i codici che mostrano questa disposizione anomala degli elementi. L’editio princeps del testo risale al 1528, momento nel quale fu pubblicata, in quarto, a Basilea da Johann Faber, come libro terzo dei Digesta artis mulomedicinae (e quindi basata su un modello derivato dall’iparchetipo menzionato nel quale ci fu lo spostamento di quaternioni).
L’opuscolo, dove l’influsso di Columella è ben percipibile, consta di una prefazione programmatica e di venticinque capitoli distribuiti tematicamente (in parte della tradizione manoscritta sono stati interpolati altri tre capitoli in calce). Il primo capitolo riguarda le attenzioni preventive miranti a preservare la salute degli animali, i ventitre successivi spiegano come trattare diverse patologie, presentate senza un criterio tassonomico ben definito, e l’ultimo contiene le istruzione relative alla costruzione di un apparato (una machina, descritta da Vegezio come una sorta di gabbia di legno), dove collocare gli animali affinché il veterinario possa procedere ad esaminarli ed a somministrare le cure necessarie. (D. Paniagua)