Edizione di riferimento:
Corpus Iuris Civilis, I, (Mommsen, Krueger), successive edizioni immutate dalla XII, Berolini 1954
Contesto storico
Il 13 dicembre 530, con la costituzione Deo auctore (Dig. praef. I; Cod. Iust. 1.17.1; vd. Campolunghi 2001, pp. 109-277), l’imperatore Giustiniano I (482-565) diede l’incarico al quaestor sacri palatii Triboniano di formare una commissione che provvedesse alla compilazione di una grande raccolta di materiale tratto dalla letteratura giurisprudenziale antica, dei secoli I a.C.-III d.C. (§1-3): questa silloge avrebbe preso il nome di Digesta seu Pandectae (§12). La commissione, presieduta da Triboniano stesso, era composta da due professori di diritto di Costantinopoli (Teofilo e Cratino), due di Berito (Doroteo e Anatolio), il comes sacrarum largitionum Costantino e undici avvocati.
Dopo l’introduzione, viene esposto il piano dell’opera: la commissione avrebbe dovuto antologizzare i libri degli antichi giuristi romani (§4) e realizzare un’opera in cinquanta libri in cui i frammenti fossero organizzati tematicamente (§5); avrebbe dovuto inoltre correggere discordanze e contraddittorietà e colmare ciò che nelle fonti sembrasse incompleto (§6-8); venivano escluse dalla raccolta le leggi già inserite nel Codex Iustinianus (§9) e le leggi che, benché presenti nei testi degli antichi giuristi, erano ormai cadute in desuetudine (§10); infine veniva proclamato il divieto di commentare l’opera che sarebbe stata prodotta (§12; vd. a questo proposito Torrent 2013) e di scrivere il testo con segni di abbreviazione, per loro natura ambigui (§13).
Il lavoro della commissione durò tre anni e la fine dei lavori fu annunciata nella costituzione bilingue Tanta/Δέδωκεν (Dig. praef. III; Cod. Iust. 1.17.2; sulla Tanta/Δέδωκεν vd. Campolunghi 2007, pp. 119-334) del 16 dicembre 533. In essa vengono innanzitutto illustrate le sezioni del Digesto (§2-8): i prota (§2; libri 1-4); la sezione de iudiciis (§3; libri 5-11); la de rebus (§4; libri 12-19); l’umbilicus (§5; libri 20-27); la de testamentis (§6; libri 28-36); una sesta (§7; libri 37-44) e una settima parte di varia (§8; 45-50), senza titolo. Vengono citati i membri della commissione (§9); viene spiegato il modo in cui sono indicati i frammenti dei giuristi (§10); si fa riferimento alle Instituitiones, come manuale propedeutico per lo studio del Digesto (§11); si dice che la commissione ha provveduto ad appianare le contraddizioni e colmare le lacune delle fonti (§12-16); vengono svolte alcune riflessioni sul lavoro della commissione, che ha reso accessibile a tutti un elevato numero di opere e autori in gran parte sconosciuti (§17-19); viene premesso al testo della compilazione un index degli autori e delle opere menzionate (§20; si veda infra); si attribuisce al testo del Digesto il valore di legge imperiale (§ 20a) e viene ribadito il divieto di commentarlo (§21) e di trascriverlo usando sigle o abbreviazioni (§22); si dice infine che le Institutiones e il Digesto entreranno in vigore dal 30 dicembre 533 (§23).
Lo stesso giorno Giustiniano promulgò la costituzione Omnem (Dig. praef. II; vd. Campolunghi 2007, pp. 337-420), rivolta ai professori di diritto delle Scuole di Costantinopoli e Berito: in essa veniva riformato l’insegnamento del diritto in accordo con le sezioni del Digesto. Si descrive l’antico insegnamento del diritto (§1) e successivamente viene illustrato il nuovo programma di studi: nel primo anno dovevano essere studiate le Institutiones e i prota (§2), nel secondo e terzo anno le sezioni de iudiciis e de rebus (§3-4), nel quarto anno l’umbilicus e la de testamentis (§5), poi sarebbero state consegnate agli studenti la sesta e la settima parte per la lettura e l’uso nei processi (§6). Questa riforma doveva essere applicata «in regiis urbibus» (Costantinopoli e Roma) e a Berito; coloro che in altre città avessero insegnato il diritto sarebbero stati puniti (§7). Non erano ammesse abbreviazioni nella trascrizione dei libri (§8) e non erano tollerati scherzi da parte degli allievi ai professori e ai compagni di studio a Costantinopoli e Berito (§9): i colpevoli avrebbero infatti ricevuto la degna punizione (§10).
Struttura, contenuto, genesi dell’opera
Il Digesto si compone di cinquanta libri, suddivisi a loro volta in titoli, frammenti e paragrafi. Ogni frammento è preceduto dall’indicazione del giurista e dell’opera da cui esso proviene: i 9124 frammenti contenuti nel testo provengono da 1625 libri di trentanove giuristi antichi. Come detto, l’opera si articola in sette partes (libri 1-4; 5-11; 12-19; 20-27; 28-36; 37-44; 45-50).
A proposito dell’index, noi lo conosciamo solo nella veste del cosiddetto Index Florentinus, così chiamato perché tramandato unicamente all’interno del Codex Florentinus del Digesto (vd. infra): si tratta di un elenco parziale di autori e opere, conservatosi in greco. I frammenti dei giuristi sono nella quasi totalità in latino, ma vi sono anche alcuni frammenti in greco (su cui si rimanda ad Avotins 1989).
Gli autori più rappresentati all’interno del Digesto sono i cinque della cosiddetta “Legge delle citazioni” (Ulpiano, Gaio, Modestino, Paolo, Papiniano). Questo provvedimento (Cod. Theod. 1.4.3) fu emanato il 7 novembre 426 dall’imperatore Valentiniano III, e prevedeva che, per dirimere i casi processuali, potessero essere utilizzate quasi esclusivamente le opere giurisprudenziali degli autori menzionati; l’uso degli scritti degli altri giuristi era invece previsto solo in casi molto limitati (si vedano a proposito Bassanelli Sommariva 1983; Sirks 2014).
Come detto in precedenza, oltre a raccogliere, antologizzare e ordinare i testi dei giuristi antichi, Giustiniano diede la facoltà alla commissione di intervenire sui testi, per adattarli al diritto vigente e sopprimerne o appianarne le contraddizioni (queste modifiche vengono dette “interpolazioni” al Digesto; vd. Lambertini 2011; Wolf 2013). Non solo: i frammenti furono talora aggiustati in modo da formare un discorso apparentemente continuo e creare vere e proprie catene (vd. Honoré 1968).
Per quanto riguarda la genesi e i metodi di compilazione dell’opera, è stato dimostrato come i frammenti riportati nel Digesto provengano da tre/quattro gruppi di opere, che Friedrich Bluhme chiamò Massen, masse (Bluhme 1820; vd. il quadro tracciato da Mantovani 1987): la “massa sabiniana” comprende le opere composte dai giuristi ad Sabinum, cioè ad illustrazione dell’opera di Masurio Sabino sul ius civile (soprattutto i commenti ad Sabinum di Ulpiano, Pomponio e Paolo); la “massa edittale” è costituita dalle opere a commento dell’editto del pretore o del governatore provinciale (in particolare i commenti di Ulpiano, Paolo e Gaio); la “massa papinianea” comprende le risposte dei giuristi alle questioni giuridiche (soprattutto le Quaestiones e le Responsiones di Paolo e Papiniano); una appendix composta da frammenti da opere varie, per la quale però non tutti gli studiosi parlano di “massa” (vd. Mantovani 1993).
Partendo dalla teoria ormai assodata delle “masse bluhmiane”, gli studiosi hanno formulato svariate ipotesi a proposito della genesi dell’opera. Ad esempio, secondo Bluhme alle masse lavorarono tre/quattro sottocommissioni separate, attingendo direttamente dai libri dei giuristi antichi (sui limiti di questa proposta vd. Guarino 1968). Secondo Tony Honoré alle tre principali masse lavorarono Triboniano, i quattro professori di diritto di Costantinopoli e Berito e il comes sacrarum largitionum, che lavorarono a coppie con l’aiuto degli undici avvocati (Honoré-Rodger 1970; Honoré 2004; Honoré 2010; contra Honoré si è espresso in particolare Osler 1985). David Pugsley sostiene che Triboniano e due professori iniziarono ad occuparsi della “massa sabiniana” e successivamente coinvolsero altri collaboratori per antologizzare la “massa edittale” (Pugsley 1995-2000). Secondo Aldo Cenderelli, i giuristi di Giustiniano recuperarono, corressero e integrarono l’antologia realizzata dalla commissione che nel 429 fu nominata da Teodosio per riordinare l’ordinamento giuridico precedente. Questa copia di lavoro di età teodosiana, nota come “predigesto”, sarebbe già stata articolata secondo le tre “masse bluhmiane” (Cenderelli 1983; Cenderelli 2004-2005). Antonio Guarino ha invece affermato che la commissione giustinianea lavorò insieme su tre distinti “predigesti” corrispondenti alle tre “masse”: per realizzare il Digesto i compilatori si limitarono a riversare i vari frammenti nei titoli e a ordinarli in modo tale da creare una catena logicamente articolata (Guarino 1991).
Tradizione manoscritta, edizioni a stampa, ricezione
La tradizione manoscritta del Digesto è divisa in quattro gruppi (Radding-Ciaralli 2007, pp. 169-210). Il primo è costituito dal cosiddetto Codex Florentinus o Littera Florentina (vd. Baldi 2010); questo codice (oggi sfascicolato e diviso in due cassette con segnatura Firenze, Biblioteca medicea Laurenziana, Pandette, s. n.) fu confezionato a Costantinopoli nel VI secolo e giunse in Italia meridionale tra il IX e l’XI secolo. Da metà del XII secolo in poi il codice si trovava a Pisa, dove nel 1360-1362 il dotto Leonzio Pilato iniziò a realizzare una copia del manoscritto e una traduzione ad verbum del Digesto, che però dovette interrompere (vd. Di Benedetto 1969). Nel 1406, a seguito della presa di Pisa, il codice fu trasferito a Firenze: qui, dopo essere stato ospitato per lungo tempo nel Palazzo dei priori (dove a fine Quattrocento fu visto e collazionato da Poliziano; vd. Branca 1971), nel 1782 trovò posto nella Biblioteca Laurenziana, su richiesta del bibliotecario Angelo Maria Bandini.
Il secondo gruppo è composto dai testimoni della Littera vulgata o Littera Bononiensis (vd. la panoramica di Milani 2019). A differenza del Codex Florentinus, non esiste un unico manoscritto contenente tutto il Digesto secondo la Littera vulgata. Infatti, i manoscritti contengono solo una delle tre parti in cui il capostipite della tradizione andò a dividersi: il Digestum vetus (Dig. 1-24.2), l’Infortiatum (Dig. 24.3-38) e il Digestum novum (Dig. 39-50). Secondo Mommsen i manoscritti della Littera vulgata deriverebbero da un manoscritto ormai perduto (noto con il siglum S), copia del Codex Florentinus. Studi più recenti di Pietro Pescani e Charles Radding (vd. e.g. Pescani 1981; Radding 1993) hanno messo in discussione la ricostruzione mommseniana, in ragione delle numerose lezioni poziori della Littera vulgata. La produzione dei manoscritti della Littera vulgata è strettamente collegata alla rinascita degli studi giuridici in Italia tra la fine del X e il XII secolo (vd. Nicolaj 1991; Radding 2013; sulla ricezione del Digesto in età medievale e rinascimentale si vedano anche Reinoso-Barbero 2013 e Rossi 2014).
Il terzo gruppo è costituito dai Basilici (vd. Goria 2002). Si tratta di un’opera pubblicata alla fine del IX secolo per volere dell’imperatore bizantino Leone VI (866-912), contenente i sommari in greco delle principali norme del Digesto e del Codice, ed estratti dalle Novelle di Giustiniano e dei suoi immediati successori: la prima versione di Leone fu poi sottoposta a revisione all’epoca di Costantino VIII (960-1028). Tra il X e l’XI secolo il corpus dei Basilici fu arricchito da una serie di annotazioni tratte dalla letteratura giuridica di VI-VII secolo, e successivamente da glosse di giuristi di X-XII secolo: questi scolii furono poi unificati intorno al 1200 per opera di un allievo di Michele Agioteodorita (sulla ricezione del Digesto a Bisanzio si veda anche Sitzia 2014). Infine, il quarto gruppo è formato dai subsidia antiqua, ovvero frammenti antichi conservati su papiri o manoscritti coevi al Codex Florentinus o di età altomedievale (vd. Macino 2008; Fressura-Mantovani 2017).
Per quanto riguarda le edizioni a stampa, furono per prime pubblicate le edizioni delle tre parti della vulgata: il Digestum vetus nel 1476, l’Infortiatum nel 1475, il Digestum novum nel 1477 (vd. Panzanelli Fratoni 2020). L’editio princeps di F uscì nel 1553 a Firenze, a cura di Lelio e Francesco Torelli con la collaborazione di Pier Vettori (vd. Gualandi 1986). L’edizione di riferimento è oggi quella curata da Theodor Mommsen, uscita prima in due volumi (Mommsen 1870; nota come editio maior) e poi inserita – come volume singolo con forte riduzione dell’apparato –all’interno della serie del Corpus Iuris Civilis (Mommsen 1889 e successive ristampe, nota come editio minor).
Attualmente sono disponibili traduzioni moderne, complete o parziali, nelle principali lingue europee (vd. Minieri-Sacchi 2007): inglese (Watson 1985), francese (Gaurier 2017), spagnolo (D’Ors-Hernández Tejero-Fuenteseca-García Garrido-Burillo 1968-1975), tedesco (Behrends- Knütel-Kupisch-Seiler 1995-2012) e italiano (Schipani-Lantella.Petrucci-Saccoccio 2005-2014). Infine, interessanti introduzioni allo studio del Digesto si possono leggere in Natili 2003; Schipani 2004; Troianos 2015, pp. 62-70. [G. Cattaneo]