Edizione di riferimento:
Prologus: A. Zago, The (new) prologue to Pompeius’ Commentum, «Rationes Rerum» 14 (2019), 157-162. Partes I-II: Grammatici Latini, V. Artium Scriptores minores. Cledonius Pompeius Iulianus etc., ex recensione H. Keilii, Hildesheim 1961, 95-283 (reprografischer Nachdruck der Ausgabe, Leipzig 1868). Pars III: (GLK 5.283-312): A. Zago, Pompeii Commentum in artis Donati partem tertiam, Hildesheim 2017, 2 voll. (Collectanea Grammatica Latina 15.1 e 15.2).
Il Commentum artis Donati è un lungo commento all’opera del grammatico Donato composto da un magister africano fra il V e il VI secolo. Il titolo, attribuito da Heinrich Keil a fronte di una certa varietà di lezioni nei testimoni manoscritti, riflette la denominazione dell’opera fornita già da Friedrich Lindemann nell’editio princeps (Lipsia 1820) e inserisce chiaramente il trattato di Pompeo nella vasta tradizione delle artes di ispirazione donatiana. Il Commentum è infatti un’opera concepita come accompagnamento e spiegazione dell’Ars maior, di cui segue la struttura tripartita: a una prima parte dedicata alle nozioni fondamentali dell’ars grammatica (GLK 5.95.1-134.2, corrispondente al primo libro dell’Ars maior) segue una lunga e articolata disamina delle partes orationis (GLK 5.134.3-282.35, corrispondente al secondo libro dell’Ars maior); il trattato è chiuso da una sezione su uitia et uirtutes orationis (GLK 5.283.1-312.16, corrispondente al terzo libro dell’Ars maior) che presenta una tradizione parzialmente indipendente dal resto dell’opera (Zago 2017, CIV-CVI).
L’incipit del commentario costituisce un notevole problema filologico: assente nell’editio princeps e nell’edizione di Keil, esso è stato riscoperto ed edito da Holtz 1971, 58-64 (e più recentemente da Zago 2019 sulla base di una riconsiderazione delle testimonianze disponibili) come importante tassello per lo studio della tradizione manoscritta dell’opera, bipartita su due rami, ‘italiano’ e ‘insulare’. Il Commentum di Pompeo è inoltre mutilo della parte finale, che si interrompe improvvisamente sul tropo dell’homoeosis, mentre mancano all’appello icon, parabole e paradigma, che concludono l’analoga trattazione nell’opera di Donato. L’opera presenta nel complesso una tradizione manoscritta piuttosto cospicua (circa 30 codici), testimone di una fortuna che vede il testo di Pompeo circolare nella Spagna del VII secolo e in seguito a Bobbio, a Montecassino, nei principali scriptoria carolingi e in area insulare (Holtz 1971; Holtz 2005).
Benché Pompeo nella propria esposizione segua dichiaratamente Donato (citato per nome una cinquantina di volte nell’opera), il suo debito principale è nei confronti dell’analogo commento serviano (GLK 4.405-448). Anche se Servio non è mai esplicitamente nominato, è evidente che Pompeo aveva a disposizione la sua opera e la utilizzava non senza qualche fraintendimento e approssimazione (Kaster 1988, 140-150). L’Ars maior di Donato è visibile spesso soltanto ‘in filigrana’ nel Commentum, poiché l’assenza di lemmi e la ridondanza dell’esposizione oscurano in più punti la struttura solida e schematica dell’opera di riferimento, della quale Pompeo lamenta talvolta l’eccessiva stringatezza (ad es. in GLK 5.288.6-8 = 17.12-15 Zago 2017).
L’elemento più innovativo e interessante dell’opera, per il resto non originalissima da un punto di vista dottrinale, è lo stile fortemente orale, che rimanda senza dubbio alle lezioni estemporanee di un vivace (e prolisso) magister di fronte alla propria classe: non è facile stabilire, sulla base degli elementi in nostro possesso, se il Commentum di Pompeo fosse rivolto a un pubblico di studenti della scuola del grammaticus o a un pubblico di futuri insegnanti ai quali sarebbero indirizzate alcune insolite annotazioni didattiche e metodologiche (Holtz 1981, 236-237; Kaster 1988, 158-168; De Nonno 2010, 176; Zago 2010). Il singolare andamento oraleggiante di Pompeo è stato oggetto di vari studi, tanto da un punto di vista linguistico (Pontani 2007; Adams 1991; Adams 2013, 471-481) quanto in relazione alla storia delle tecniche didattiche e dell’insegnamento nell’antichità (De Nonno 2010; Munzi 2011; Zago 2010; Zago 2018).
Le peculiarità linguistiche del latino di Pompeo lo rendono infine una preziosa fonte per studi storico-linguistici sul latino d’Africa e più in generale sull’evoluzione del latino nelle lingue romanze (ad es. Adams 2007; Fanciullo 1992; Loporcaro 2007, 113-114; Mancini 1994; Mancini 2001; Mancini 2015; Schmitt 2003; Zago 2013). [Anna Zago]