saec. III-IV
Pochissimi sono i dati sulla figura di Atilio Fortunaziano, la cui stessa esistenza rimase sconosciuta fino al riemergere, nel 1493, fra i testi conservati nella biblioteca di Bobbio, di un manuale De metris Horatianis a lui attribuito. Una prima messa a punto risale a Heinrich Keil, che ne accolse l’operetta all’interno del VI libro dei Grammatici Latini, tra gli scritti de re metrica (seguì poi da parte del Keil una seconda edizione, Halis 1885); successivamente, un profilo dell’oscuro metricologo fu allestito dal Consbruch per la Real-Encyclopädie (1896). Da allora, altri studi, da Kaster fino alle più recenti indagini di Giuseppe Morelli, hanno tentato di ricostruire le principali linee della biografia fortunazianea, attingendo anzitutto, e quasi esclusivamente, a quanto lo stesso autore lascia trapelare da alcune sezioni del suo manuale, a cominciare dal proemio. La citazione sallustiana che si legge a chiusura della sezione proemiale ([…] sed, ut ille ait, carptim, uti quaeque memoria digna videbantur [cf. Sall. Catil. 4, 2], de multis auctoribus excerpta perscripsi) consente, infatti, di collocare l’attività di Atilio Fortunaziano tra la seconda metà e la fine del IV sec. d.C., poiché le numerose coincidenze tra Fortunaziano e Servio del De centum metris, nei capitoli che introducono alla rassegna dei metri prototipi, unitamente al riuso dell’avverbio carptim da parte di Servio ([…] de quibus [scil. metris] carptim tractabimus) inducono a ritenere l’opuscolo fortunazianeo fonte del De centum metris stesso, che, ascrivibile agli inizi del V secolo, diventa una sorta di termine ante quem (Morelli 2012). La possibilità di una anticipazione a prima del IV secolo è stata inoltre prospettata da Kaster sulla scorta dell’importanza attribuita alla carica di pretore e alla connessione di essa con la piena padronanza dell’arte retorica (59. 6-7: quid enim pulchrius disertissimo praetore? Aut quid sublimius eloquentissimo consule?), considerazione questa di una fase politica e culturale precedente il IV secolo.
Il cognomen ‘Fortunatianus’ consente poi di ipotizzarne la provenienza dalla provincia d’Africa, al pari di altri metricisti, quali Giuba, Terenziano Mauro, Mario Vittorino (Consbruch). Il proemio e altre sezioni del testo chiariscono la genesi del manuale, dedicato a un aristocratico romano, la cui identità rimane peraltro oscura, impegnato negli studi di retorica e nell’ascesa alla dignità senatoria (59.1-5: etsi scio te omni studio atque virtute in hoc maxime laborare, ut oratorem te perfici velis […] ut eloquentia senatoriam cumules dignitatem). Il dedicatario è stato già scolaro di Fortunaziano, come lo stesso autore ricorda (60.8-9: cum artem grammaticam et intellexeris apud me et memoriae mandaveris diligenter), elemento questo che ne documenta la regolare attività di grammaticus, e da tempo chiede all’ex maestro un prontuario di metrica, in particolare oraziana, di sussidio ai propri interessi poetici (60.10-11: praesertim cum satis meminerim me tibi omnem summam metrorum brevitate pollicitum). La risposta di Fortunaziano è l’allestimento di un agile testo (59. 14: accipe igitur horatiana metra, quae saepius flagitasti), in cui la spiegazione dei metri lirici è preceduta da una ripresa delle fondamentali nozioni di prosodia e metrica, in adempimento alla promessa di una summa metrorum. L’ipotesi di identificazione del giovane discepolo con l’Albino dedicatario del De centum metris serviano (Camillo Morelli 1915) è oggi molto dubbia (Morelli 2011), mentre è possibile che a rendere incerta la fisionomia del metricologo possa aver contribuito anche la presenza di omonimie, peraltro frequenti in età tardoantica: si pensi al retore C. Consulto Fortunaziano, talora identificato con il dedicatario del De metris Horatii di Servio (Jones-Martindale-Morris; Kaster). [A. Di Stefano]