saec. V-VI
La designazione Hippocrates Latinus si può intendere come il complesso di tutte le traduzioni latine dal Corpus Hippocraticum fino al pieno Medioevo (Kibre 1985), ma in un’accezione più ristretta indica una rosa di traduzioni tardolatine di alcune opere greche di quel Corpus. Si tratta dei seguenti testi (Mazzini 1983; Mazzini-Flammini 1983; Mazzini 1985; Langslow 2000):
Aphorismi - traduzione completa di Ἀφωρισμοί, conservata nei codici Mutinensis O.I.11 (s. VIII-IX); Parisinus 11219 (s. IX); Parisinus 7021 (s. IX); Vendocinensis 172 (s. XI); Rotomangensis O.55 (s. XI). Edizione: Müller Rohlfsen 1980; cfr. Haverling 1995.
De aere aquis locis - traduzione completa di Περὶ ἀέρων ὑδάτων τόπων conservata nei codici Ambrosianus G. 108 inf. (s. IX); Parisinus 7027 (s. IX). Un ulteriore frammento (capitoli 1-11) si legge nel codice Hunterianus 96 della Biblioteca Universitaria di Glasgow (s. IX). Edizioni: Kühlewein 1905; Gundermann 1911; Grensemann 1996.
De morbis mulierum o De mulierum affectibus - traduzione di estratti dai libri I e II del Περὶ γυναικείων. Quanto al libro I, traduzione (talora parziale) di alcuni capitoli nei codici Parisinus 11219 (s. IX) e Leninopolitanus F. v. VI. 3 (s. IX); edizione: Mazzini-Flammini 1983, con il titolo De conceptu (messo tuttavia in discussione da Vázquez Buján 1986 e 1986b, che suggerisce di attenersi a De mulierum affectibus). Quanto al libro II, traduzione (talora parziale) di alcuni capitoli nel citato Leninopolitanus, editi, all’interno di un’antologia di precetti ginecologici intitolata De diversis causis mulierum, da Brütsch 1922 (Mazzini-Flammini 1983, pp. 10-13).
De natura humana - traduzione (con lacune) dei capitoli 20-23 del Περὶ φύσιος ἀνθρώπου (corrispondenti ai capitoli 5-8 dell’operetta in passato erroneamente distinta, al suo interno, con il titolo Περὶ διαίτης ὑγιεινῆς / De salubri diaeta) nel già citato codice Parisinus 7027. Edizioni: Mazzini 1982-1983 (cfr. Mazzini 1983, p. 485, nota 11); Vázquez Buján 1982-1983. All’esigua tradizione diretta si può aggiungere qualche minimo frammento ricavabile da tradizione indiretta (Ferraces Rodríguez 2007).
De numeris septenariis o De septimanis - traduzione del Περὶ ἑβδομάδων, nei ricordati codici Ambrosianus G. 108 inf. e Parisinus 7027. Edizioni: Roscher 1913; un ulteriore frammento in Paxton 1993; Agge 2004. “Più che parlare di traduzione completa, è forse meglio dire che la traduzione latina rappresenta quanto di più esteso possediamo di questo trattato; il greco, frammentariamente conservato, non rappresenta nemmeno la metà di quanto ci rimane attraverso la traduzione” (Mazzini 1983, p. 484, n. 3).
De uictus ratione o semplicemente De uictu - traduzione dai primi due libri del Περὶ διαίτης. Quanto al libro I, traduzione di alcuni capitoli nel citato codice Parisinus 7027; edizione: Deroux-Joly 1978. Quanto al libro II, traduzione completa nel codice Bodmerianus 84 (Cologny; s. IX); edizione, con il titolo De obseruantia ciborum: Mazzini 1977, riveduta e corretta in Mazzini 1984 (a proposito della tradizione indiretta del De obseruantia ciborum: Mazzini 1983, p. 484, n. 7; Mazzini 1984, pp. 34 ss.; cfr. Mazzini 1992).
Prognosticum o anche Prognosticon o Prognostica (Fichtner 2016 n. 3, pp. 10-11) - traduzione completa di Προγνωστικόν nei codici Ambrosianus G. 108 inf.; Monacensis 11343 (s. XIII). Edizione: Alexanderson 1963.
In linea di massima, e soprattutto in seguito agli studi di Augusto Beccaria, queste traduzioni sono state considerate unitariamente. Si devono quasi certamente a traduttori diversi, tuttavia si è ritenuto che possano essere ricondotte tutte a un unico ambiente. Beccaria ha proposto di individuarlo in Ravenna fra la fine del V e gli inizi del VI secolo (seguito da Mazzini 1984, p. 12; 1985, 1985b). Questi presupposti sono stati messi in discussione da Vázquez Buján 1984, secondo il quale, mentre allo stato attuale delle indagini non è metodologicamente sicuro procedere a una valutazione unitaria del complesso dei testi conservati, resta aperta la possibilità che uno o più di essi non risalgano all’ambiente di Ravenna, per il quale una vera e propria scuola risulterebbe individuabile soprattutto per la seconda metà del VI secolo (cfr. anche Vázquez Buján 1982-1983; 1986). In particolare, segnalando che la testimonianza di Cassiodoro Institutiones I 31, 2, databile fra 551 e 562, offre un terminus ante quem per l’esistenza di traduzioni latine di Ippocrate, Vázquez Buján 1984 pone il problema se l’Ippocrate latino di cui si disponeva a Viuarium provenisse da Ravenna, o invece sia giunto a Ravenna da Viuarium. Secondo lo studioso, il fatto che Cassiodoro abbia portato con sé da Ravenna materiali per la sua fondazione monastica di Viuarium resta solo una possibilità. Per converso, va sottolineato che a Viuarium si intrattenevano relazioni con l’Africa del Nord, dove erano fiorenti la scienza medica e l’attività di traduzioni, e se ne ricevevano manoscritti. E non si può nemmeno escludere che le traduzioni possano essere state preparate proprio a Viuarium (Vázquez Buján 1984, pp. 677-78). Si tratta dunque a suo parere di questioni desinate a rimanere aperte, così come altre, quali per esempio il livello di competenza di alcuni di questi traduttori (Vázquez Buján 1984b, 1986b, p. 150, con rinvio a Müller Rohlfsen 1980).
Questi testi sono particolarmente rilevanti come documento di un latino non letterariamente sorvegliato e vicino alla lingua parlata nella quotidianità. Un tentativo di stilare una dettagliata tipologia del comportamento di questi traduttori rispetto al testo greco di partenza è stato operato da Mazzini 1983, che distingue per esempio diversificazioni intenzionali (“omissioni, aggiunte e variazioni dovute alle convinzioni scientifiche, religiose ed etiche del traduttore [cfr. Mazzini 1983b] o ai mutati bisogni sanitari dell’epoca” e “adattamenti ed aggiustamenti dovuti alle esigenze didattiche”) e preterintenzionali (che possono dipendere da “travisamenti del senso derivanti dalla difficoltà intrinseca dell’argomento”, da “inadeguatezza della lingua latina usata, oberata di volgarismi e grecismi” o infine “dalla diversità del modello tradotto, rispetto alla tradizione manoscritta greca in nostro possesso”; cfr. anche Mazzini 1984, 1985b). È ancora Mazzini a soffermarsi in dettaglio sui caratteri di questo latino volgare (1982-1983, pp. 257-262; 1983, pp. 490-491; Mazzini-Flammini 1983, pp. 13-35; 1984, pp. 12-27; cfr. anche Mras 1919 e Deroux-Joly 1978, pp. 145-151). Una simile analisi conduce Vázquez Buján 1986 sulla sola traduzione del De mulierum affectibus, indicando in un nuovo e approfondito studio comparato della tecnica di traduzione dei singoli trattati uno dei futuri principali compiti degli studiosi del settore, nonché una delle principali vie per poter raggiungere più attendibili risultati quanto al problema di fondo se tutto l’Ippocrate latino tardoantico oggi noto possa essere ricondotto o meno a un unico e medesimo ambiente (1984; 1984b; 1986, p. 56, con accenni per esempio a differenze fra il Prognosticon e il De uictu).
Nel complesso, fin dalla scelta delle opere del corpus Hippocraticum da tradurre, l’Ippocrate latino tardoantico sembra ispirarsi a criteri fondamentalmente pratici e utilitaristici (Mazzini 1985b, p. 384), ovvero alla divulgazione di una serie di conoscenze che, prescindendo da inquadramenti teorici o filosofici, potesse immediatamente consentire di distinguere le singole malattie e applicarvi gli opportuni rimedi, soprattutto tramite dieta e piante medicinali (Mazzini 1983, p. 485). Con l’eccezione degli Aphorismi, la fortuna di queste traduzioni non fu tanto diretta quanto indiretta, e si può misurare soprattutto nel recupero che queste conoscenze hanno poi conosciuto in varie forme di antologie e trattatelli apocrifi (Mazzini 1983, p. 485). [F. Giannotti]