Edizione di riferimento:
XII Panegyrici Latini, recognouit D. Lassandro, Augustae Taurinorum 1992 (Corpus Scriptorum Latinorum Parauianum).
Nel 1433, nella biblioteca della cattedrale di Magonza, venne scoperto da Giovanni Aurispa un codice contenente l'orazione di Plinio a Traiano seguita da altri undici discorsi ufficiali presentati tutti nella inscriptio come panegyrici, tranne la gratiarum actio di Claudio Mamertino a Giuliano. Il termine panegyricus tuttavia non compare nei testi. Nella tarda latinità (cf. Sidonio Apollinare, epist. VIII 10, 3: Gaius Plinius [...] Marco Vlpio incomparabili principi comparabile panegyricum dixit) il termine panegyricus perde il valore originario di discorso tenuto di fronte a un'assemblea universale, per assumere quello di laudatio, discorso elogiativo che si cristallizza «nello schema di un encomio specificamente rivolto al principe (βασιλικός λόγος), giunto a noi nella sistemazione che ne fece nel III secolo d.C. il retore greco Menandro (Rhet. Gr. III pp. 368-77, ed. Spengel), recuperando la precedente tradizione del genere» (Giardina-Silvestrini 1989, p. 596).
Il corpus dei panegirici ci è tramandato, interamente o parzialmente, da oltre cinquanta manoscritti di età umanistica - probabilmente apografi del codice di Magonza che scomparve in un incendio, tra cui il più importante è un esemplare cartaceo della British Library (Harleianus 2480) - e da un palinsesto dell'Ambrosiana di Milano in cui Angelo Mai riconobbe, al di sotto degli Acta Synodi Chalcedonensis, vari testi scritti in semionciale nel VI secolo comprendenti il panegirico di Plinio (Lassandro 1998, p. 483).
La silloge, che comprende oltre al testo pliniano undici discorsi di elogio rivolti da diversi retori di origine gallica ad Augusti o Cesari tra il 289 e il 389, venne forse costituita da Latino Pacato Drepanio, autore del panegirico del 389 a Teodosio (Lassandro 1998, p. 477; Lassandro 2000, p. 10; Camastra 2012, p. 122). L'ordine in cui i manoscritti riportano i vari discorsi non è cronologico: modello ispiratore è il testo pliniano che occupa il primo posto, seguono, partendo dal più recente, il già citato panegirico di Pacato Drepanio (Roma, 389), quello di Claudio Mamertino dedicato a Giuliano (Costantinopoli, 362) e quello di Nazario in onore di Costantino (Roma, 321). Vi sono inoltre otto discorsi di estensione minore, in parte anonimi, accomunati dall'essere stati pronunciati in Gallia da retori locali. Un retore di Treviri, Mamertino, è l'autore dei due panegirici a Massimiano del 289 e 291, conservati come decimo e undicesimo nei manoscritti. Due (l'ottavo e il nono) sono dedicati a Costanzo Cloro tra il 297 e il 298: l'ottavo è anonimo, mentre il nono è di un retore di Autun, Eumenio, ed è l'unico a non essere stato pronunciato al cospetto del Princeps, ma di fronte al governatore della provincia lionese. Infine vi sono quattro discorsi anonimi dedicati a Costantino: il settimo del 307, il sesto del 310, il quinto del 312, il dodicesimo del 313.
Membri dell'entourage del Princeps, i panegiristi, «che appartenevano ai quadri della burocrazia statale e della dirigenza politica dello Stato romano (furono in genere professori e/o funzionari), divennero non solo convinti sostenitori della politica dell'imperatore, ma anche attivi promotori del consenso» (Lassandro 2000, p. 14; cf. Lassandro 1998, p. 479; Camastra 2012, p. 123) tratteggiando con abilità oratoria, modellata sui classici, la figura dell'Optimus Princeps. I Principes sono depositari di tutte le virtù; a essi si contrappongono gli avversari, che assommano tutti i vizi. Paradigmatica è la rappresentazione speculare di Costantino e Massenzio (nei panegirici del 313 e del 321), da cui emerge una contrapposizione netta tra bene e male a vari livelli: la nascita, l'aspetto fisico, le qualità morali, il rapporto con la divinità (Lassandro 1998, p. 480; Lassandro 2000, p. 17 s.). Singolare la figura di Massimiano, dapprima optimus Princeps e accomunato a Costantino nella lode, ma che, dopo la ribellione al genero e la caduta in disgrazia con conseguente morte per suicidio, «subisce un ideale processo di demonizzazione e viene presentato come il prototipo dell'uomo maledetto dalla divinità». (Lassandro 1998, p. 480).
La superiorità e l'invincibilità dell'imperatore non si manifesta solo nei confronti dell'avversario politico, ma anche nella sua supremazia sui barbari che garantisce sicurezza e prosperità alle città romane, quali Treviri e Autun, situate lungo il limes germanico. Attraverso i Panegyrici si coglie il complesso rapporto esistente tra le città romane e le nationes barbarorum nelle regioni di confine. Da un lato emerge un giudizio di condanna e disprezzo nei confronti di tali popolazioni crudeli, incivili e devastatrici - caratterizzate da feritas, ferocia, furor, uesania, rabies, perfidia - cui l'imperatore si oppone quale baluardo di difesa insormontabile, anche se l'insistenza sull'immanitas e la multitudo di tali popoli lascia intravedere il timore delle città di confine nonostante l'ostentata fiducia nelle virtù militari del princeps. D'altro canto si possono anche scorgere segni di integrazione, ravvisabile negli «stanziamenti di cultores barbari in territorio romano» (Lassandro 1998, p. 482). Alla contrapposizione tra Romani e barbari si affianca quella tradizionale tra Occidente e Oriente, «tra il mondo della tradizionale uirtus romana e quello delle deliciae Orientis [...] separazione tra un mondo, l'orientale, caratterizzato da assenza di valore militare e scelta di una vita molle e raffinata, e una realtà invece, quella occidentale, connotata da una grande capacità bellica, spirito di sacrificio, senso austero della famiglia e così via» (Lassandro 2000, pp. 34 s.)
Sebbene «la valenza primaria dei Panegyrici sia quella retorico-ideologica» e la rappresentazione dei fatti sia deformata dalla lente dell'adulazione, essi non sono privi di rilevanza storica, tanto più che «sono talvolta fonti uniche nel tramandare accadimenti importanti svoltisi tra III e IV secolo» (Lassandro 1998, p. 479). Ne sono un esempio le testimonianze sulla rebellio Bagaudica.
La prosa dei Panegyrici, ricca di exempla, perifrasi celebrative, ornamenti retorici, largo uso di amplificatio e comparatio, è molto studiata e rivela la provenienza scolastica degli autori, attenti anche a creare clausole metriche; d'altro canto, il genere del panegirico «ben presto evolverà in forma metrica vera e propria, come nei panegirici poetici di Claudiano» (Camastra 2012, p. 122; cf. Von Albrecht 1996, III p. 1460).
Riportiamo lo schema dei dodici panegirici presente nell'edizione di riferimento, con la duplice numerazione che si è mantenuta nella digitalizzazione dei testi: il numero fuori parentesi indica l'ordine tràdito, quello tra parentesi l'ordine cronologico.
I (I) C. Plinii Caecilii Secundi Panegyricus dictus Traiano imperatori (Romae a. 100 p. Chr)
X (II) Mamertini Panegyricus dictus Maximiano et Diocletiano
XI (III) Eiusdem magistri Mamertini Genethliacus Maximiani Augusti (Treueris ? a. 291 p. Chr.)
IX (IV) Eumenii pro instaurandis scholis oratio
VIII (V) Incerti Panegyricus dictus Constantio Caesari
VII (VI) Incerti Panegyricus dictus Maximiano et Constantino
VI (VII) Incerti Panegyricus dictus Constantino imperatori
V (VIII) Incerti Gratiarum actio Constantino imperatori
XII (IX) Incerti
IV (X) Nazarii Panegyricus dictus Constantino imperatori (Romae a. 321 p. Chr)
III (XI) Claudii
II (XII) Latini Pacati Drepanii Panegyricus dictus Theodosio imperatori (Romae a. 389 p. Chr.)
[S. Musso]