Edizione di riferimento:
Cassiodoro De orthographia, Tradizione manoscritta, fortuna, edizione critica a cura di P. Stoppacci, Firenze 2010
Edizione precedente: Grammatici Latini, VII. Scriptores de orthographia. Terentius Scaurus Vellius Longus Caper Agroecius etc., ex recensione H. Keilii, Hildesheim 1961, 143-210 (reprografischer Nachdruck der Ausgabe Leipzig 1880)
Cassiodoro stesso ci informa nella prefazione all’opera delle circostanze e delle motivazioni per cui essa nacque: i più preparati fra i monaci di Vivarium erano stati incaricati del faticoso compito di ricopiare i libri del monastero, sia quelli che erano stati raccolti nella biblioteca e di cui siamo informati dalle Institutiones sia quelli che si continuavano a produrre, traducendo opere dal greco in latino o compilandone di nuove. Erano i più colti di tutti, e si distinguevano dagli altri capaci solo di coltivare i campi, eppure, quando dovettero confrontarsi con le Complexiones in Epistolas et Acta apostolorum et Apocalypsin, il penultimo lavoro del vecchio prefetto del pretorio, consistente in una sorta di commento ad alcuni passi di quelle opere, si recarono da lui perché non si sentivano all’altezza del lavoro: “A che serve conoscere gli antichi commenti e le tue aggiunte, se non sappiamo affatto come si debbono scrivere? E non siamo nemmeno capaci di leggere a voce alta i passi della Scrittura, perché non li capiamo”. Cassiodoro si rese conto del problema, si fece portare una dozzina di manuali di ortografia e ne fece una sintesi breve, semplice e chiara, ma fedele: l’opera ebbe due redazioni, con qualche integrazione nella seconda, poi fu trascritta da un copista in bella copia e infine rivista dall’autore. A noi è pervenuta una decina di manoscritti, suddivisi in due famiglie, entrambe derivanti dalla copia finale allestita a Vivarium e, per così dire, firmata da Cassiodoro col colophon.
Quando questo successe Cassiodoro aveva già compiuto i novantadue anni, e sapeva che si trattava del suo ultimo impegno: iam tempus est ut totius operis nostri conclusionem facere debeamus, scrive alla fine della prefazione, e subito dopo l’elenco degli scritti successivi alla ‘conversione’ del 538-540, cioè quelli costantinopolitani e vivariensi, di contenuto grammaticale o religioso, in una sorta di appendice alla prefazione elenca alcuni problemi di evoluzione delle grafie (e già delle pronunce) del latino e ricorda l’importanza dell’interpunzione. Il passaggio all’opera vera e propria è segnato nei manoscritti da un’inscriptio col titolo, ma anche da sei distici premessi da Foca al suo manuale, che a Cassiodoro piacquero tanto che volle farli suoi, ma citando doverosamente la fonte.
I dodici testi (dodici come gli apostoli, ma le analogie indicate sono di carattere astronomico) che Cassiodoro utilizza per mettere insieme il suo De orthographia sono nell’ordine di Anneo Cornuto, il maestro di Persio, autore di un De enuntiatione vel orthographia; di Velio Longo, di età adrianea, che scrisse un De orthographia; di Curzio Valeriano, anche lui autore di un’opera dal medesimo contenuto, vissuto nella seconda metà del V secolo; di Papiriano, di fine IV-inizio V secolo, anche lui noto per un De othographia e forse per altri trattati del medesimo argomento; di “Adamanzio Martirio”, nome sotto cui bisogna intendere in realtà due distinti grammatici, padre (Adamanzio) e figlio (Martirio, di VI secolo): questi, utilizzando materiale paterno, ha steso un’ampia trattazione sulle lettere b e v in varie collocazioni all’interno delle parola, che in Cassiodoro risulta articolata in quattro distinte opere; di Eutiche, costantinopolitano, della prima metà del VI secolo, probabilmente allievo di Prisciano, autore di un De aspiratione ; di un “Cesellio ortografo” e di un “Lucio Cecilio Vindice”, a cui sono assegnati il decimo e l’undicesimo posto, ma sono quasi certamente da identificare in Lucio Cesellio Vindice, di età adrianea, autore di uno Stromateus: nel decimo capitolo compare un titolo, De divisione syllabarum, relativo evidentemente a una delle opere riassunte; per ultimo compare Prisciano, ex Prisciano moderno auctore decerpta sunt, perché Cassiodoro non ignorava la necessità di aggiornare sempre la sua bibliografia, come dimostra la presenza di varie fonti di VI secolo: del famoso grammatico costantinopolitano, in particolare, è utilizzato il I libro delle Institutiones de arte grammatica.
Alcune volte i testi epitomati non ci sono pervenuti per tradizione diretta, e allora il De orthographia è unico testimone per noi disponibile; in altri casi abbiamo la possibilità di confrontare l’opera originale con il sunto cassiodoreo, e questo consente di ricostruire il metodo usato dal compilatore, che eliminava le parti troppo complesse – per esempio quelle in cui ricorressero parole greche – e riduceva per quanto possibile la trattazione, ma non si asteneva da alcune aggiunte e ampliamenti personali per soddisfare suoi specifici interessi o per andare incontro a quelli che attribuiva a chi avrebbe utilizzato il suo manuale. [G. Polara]