Edizione di riferimento:
Aristoteles Latinus VI 1-3, De sophisticis elenchis. Translatio Boethii, Fragmenta Translationis Iacobi, et Recensio Guillelmi de Moerbeke, edidit B. G. Dod, Leiden-Bruxelles 1975, 5-60 (Corpus Philosophorum Medii Aeui)
L'oggetto principale dell'opera è l' «elenco» sofistico, un modo di argomentare a favore o contro una certa tesi dotato di validità solo apparente. Nella prima parte dell'opera (cc. 1-15) vengono presentati i contenuti e i limiti della trattazione: le definizioni di sillogismo e di elenco, l'ambito entro il quale si colloca l'esposizione - quello del linguaggio - e una rappresentazione del sofista, definito come colui che, attraverso il sillogismo apparente, propone una sapienza ingannevole a scopo di lucro. I capitoli dal quarto all'undicesimo analizzano l'«elenco» apparente e le questioni ad esso collegate: la distinzione tra gli elenchi in dictione e quelli extra dictionem, dei quali vengono analizzate tutte le possibili tipologie; le condizioni soggettive dell'apparenza, cioè i motivi per cui alcuni individui non colgono l'apparenza come tale, scambiandola per realtà e la differenza tra gli elenchi apparenti tali per la loro apparente conclusività e quelli apparentemente attinenti alla realtà. Passando al piano concreto del confronto dialettico, l'opera illustra i modi in cui, nel corso dell'argomentazione, possono essere poste le domande sofisticamente, cioè in maniera tale da mettere in difficoltà l'interlocutore; la risposta migliore è quella che ostacola il più possibile lo svolgersi dell'argomentazione sofistica contrastando lo svolgimento dell'elenco apparente; per far questo bisogna conoscere teoricamente le argomentazioni sofistiche, ma anche sapere con quali tattiche il sofista attacca interrogando concretamente. Oggetto della seconda parte dell'opera (cc. 16-34) è la risoluzione delle suddette argomentazioni, che dipende sia dalla conoscenza teorica delle soluzioni, sia dalla capacità di utilizzarle efficacemente durante le discussioni. L'opera procede trattando prima la soluzione di tutti gli elenchi apparenti in dictione (quelli basati su omonimia e anfibolia, su congiunzione e divisione, sull'accentazione, sulla forma della dizione, ecc.) e poi la soluzione di quelli extra dictionem (quelli dell'accidente, quelli basati sul rapporto fra semplicemente e limitatamente, quelli dell'ignoratio elenchi, quelli del seguente, quelli della non causa, ecc.). Assume particolare rilevanza la tecnica che consiste nel rispondere distinguendo, da attuarsi contestualmente al prodursi delle domande, per ostacolare lo svolgersi dell'argomentazione sofistica fin dalle sue premesse. Stante la volontà fraudolenta dei sofisti, è ritenuto lecito anche l'uso di stratagemmi finalizzati unicamente a mettere in difficoltà il proprio interlocutore.
La traduzione boeziana degli Elenchi è contenuta in circa 250 manoscritti del XIII e XIV secolo [Arist. Lat. Cod. II, Cambridge 1955]; nessuno di essi, però, riporta il nome di Boezio. Lo stesso Boezio non fa mai riferimento esplicito alla sua traduzione di quest'opera [Brandt 1903], che pare dimenticata fino alla prima metà del XII secolo, quando Abelardo la legge e la cita [Glossae, ed. Geyer, 400 e 489]. Dopo la distruzione, nel 1944, del cod. 498 della Bibl. Municip. di Chartres, l'unico testimone del XII secolo recante la versione «vulgata» degli Elenchi è l'Ambrosiano I.195 inf., seguito dal codice O.7.9 del Trinity College di Cambridge (inizio XIII secolo). L'attribuzione a Boezio della versione testimoniata da questi codici si basa sull'analisi linguistica e sul confronto con le altre traduzioni sicuramente boeziane: il linguaggio della versione «vulgata» degli Elenchi concorda ampiamente con quello della «vulgata» dei Primi Analitici e dei Topici [Minio Paluello 1954]. Nella versione degli Elenchi si riscontra, inoltre, una caratteristica di Boezio che lo distingue dagli altri traduttori medievali, vale a dire la propensione a sostituire le citazioni degli autori greci utilizzate da Aristotele a scopo esplicativo con altrettante citazioni di autori latini (e.g. cfr. El., Bekker 166b, 3-8, dove Hor. Carm. I 25.8-9 e Ver. Aen. V, 13 sostituiscono i vv. omerici utilizzati da Aristotele). [M. Ferroni]