Edizione di riferimento:
Aristoteles Latinus I 6-7, Categoriarum supplementa: Porphyrii Isagoge. Translatio Boethii et Anonymi fragmentum uulgo uocatum "Liber sex principiorum", edidit L. Minio-Paluello adiuuante B. G. Dod, Leiden 1966, pp. 5-31 (Corpus Philosophorum Medii Aeui).
La conoscenza di Aristotele nell’Occidente medievale si deve a traduzioni latine tardo-antiche, che riguardano sia alcune opere dello Stagirita, sia commenti e opere sussidiarie di altri autori greci che si erano interessati al pensiero aristotelico. Tra i commenti aristotelici, spicca l’Isagoge di Porfirio, composta in Sicilia intorno al 270: si tratta di un commento alle Categorie di Aristotele incentrato sulla questione degli universali filosofici e sulla classificazione gerarchica delle realtà mondane in generi e specie, secondo una divisione dicotomica che troverà un’iconica rappresentazione nello schema universalmente noto come “albero di Porfirio”.
Visto il chiarimento che forniva al testo principale, l’Isagoge fu presto tradotta in latino, siriaco, armeno e arabo. Le versioni latine note sono due: quella di Mario Vittorino, composta nel IV secolo, e quella di Severino Boezio, redatta intorno all’anno del suo consolato, il 510. Quest’ultima si impose al punto da oscurare quasi del tutto la precedente, nota oggi solo per frammenti. Boezio la concepì nell’ambito di un articolato progetto di divulgazione del pensiero aristotelico perseguito nel corso di tutta la sua esistenza, di cui danno testimonianza altre traduzioni e commenti di opere aristoteliche (per es. Categorie, De interpretatione e Analitici primi; senza trascurare le due versioni del commento all’Isagoge stessa) e opere originali (per es. De divisione, De topicis differentiis, De syllogismis categoricis, De syllogismis hypotheticis).
La traduzione dell’Isagoge, insieme ad altre sei opere di Aristotele e di Boezio, compare nella lista che Pietro Abelardo nella Dialettica definisce indispensabili per lo studio della logica. Questa testimonianza è confermata dal gran numero di testimoni manoscritti medievali che trasmettono la traduzione: Lorenzo Minio-Paluello e Bernard G. Dod nell’edizione critica del 1966 (volume I.6-7 dell’Aristoteles Latinus) censiscono 295 testimoni con il testo “continuo”, oltre a 34 e 21 codici in cui le citazioni della traduzione sono incluse rispettivamente nel primo e nel secondo commento all’Isagoge (nel primo prevale ancora la precedente versione di Vittorino, mentre nel secondo Boezio usa sistematicamente la propria).
La tradizione manoscritta presenta problemi intricati, dovuti principalmente all’alto numero dei testimoni e alla diffusa contaminazione testuale. Secondo gli editori, alcune lezioni adiafore dimostrano l’esistenza di due versioni differenti della traduzione, che costituiscono altrettanti archetipi della tradizione sopravvissuta. Il primo archetipo z conteneva la traduzione originaria in forma continua ed è testimoniato dai codici più antichi e fededegni (tra cui Ld = Codex Leidradi della Casa Generalizia dei Padri Maristi di Roma del 798 e Re = Karlsruhe, Badische Landesbibliothek, Aug. Perg. CLXXII di IX secolo); il secondo archetipo y recava invece il commento boeziano con la traduzione rivista sulla base di un nuovo riscontro sull’originale greco (operata da Boezio o da un dotto successivo). La facies di y si può soltanto ricostruire ipoteticamente sulla base di lezioni trasmesse dagli altri codici, che offrono non il testo y nella sua genuina integrità, ma il testo z contaminato con y in punti specifici e differenti da codice a codice. I più notevoli codici contaminati sono Vc = Vercelli, Biblioteca Capitolare Eusebiana, CXXXVIII (143) di IX secolo, He = Paris, Bibliothèque Nationale de France, lat. 12949 di IX secolo, e Kö = Köln, Erzbischöfliche Diözesan- und Dombibliothek, 191 (Darmst. 2165) di XI secolo (quest’ultimo è quello più distante da z e dunque più ricco di lezioni y). Poiché la traduzione utilizzata nel secondo commento boeziano è indubbiamente derivata da y, è ipotizzabile che nel corso della trasmissione medievale (probabilmente nel IX secolo, all’epoca dei manoscritti contaminati più antichi) alcune lezioni del commento siano state riportate nella traduzione continua, in modo asistematico e in copie differenti, a riprova della vitalità dell’opera in epoca medievale, soprattutto dall’XI secolo in avanti. [M. Stefani]