Edizione di riferimento:
Calpurnius Flaccus, Declamationes, edidit L Håkanson, Stutgardiae 1988 (Bibliotheca Scriptorum Graecorum et Romanorum Teubneriana).
Gli excerpta delle declamationes di Calpurnio Flacco sono pervenuti in soli cinque testimoni. Innanzitutto l’assai danneggiato foglio 116 del mutilo Montepessulanus H 126, membranaceo del X secolo (=A; che giunge fino alle prime righe della declamazione 6, dicturum se de tyrannide…). Poi i codici cartacei Monacensis Latinus 309, di fine XV secolo (=B); Chigianus Latinus H VIII 261, del XV secolo (=C); Monacensis Latinus 316, di XVI secolo (=M); Bernensis Latinus 149, del XVI secolo (=N). In A gli excerpta di Calpurnio seguono le Declamationes minores pseudoquintilianee (ff. 1-88) ed estratti dall’opera retorica di Seneca padre (ff. 89-115); in B (dal f. 147) e in C (dal f. 81v) seguono le Declamationes minores 252-388. M riporta il solo Calpurnio, mentre N è un codice che accorpa vari materiali di diversa natura (Håkanson 1978).
Delle Declamationes di Calpurnio restano 53 estratti, per lo più molto brevi, di temi di controversie. Si tratta di un corpus ristretto e tuttavia assai significativo, tanto che, in una recente monografia dedicata all’autore, ciò che di lui ci rimane viene presentato come una sorta di epitome del mondo declamatorio romano (Dinter-Guérin 2017, p. 3). Per ciascuna controversia si conserva un titolo, cui fa seguito il racconto della situazione, occasionalmente preceduto da una telegrafica enunciazione del principio giuridico che vi si dovrà applicare. Vengono quindi riportate sententiae tratte dai discorsi di una delle parti in gioco e, per le prime 9 declamationes, anche da quelli delle rispettive controparti, introdotti dalla specificazione pars altera (sui discorsi doppi: Dimatteo 2019).
I temi sono quelli sensazionali tipicamente trattati da simili esercitazioni: un loro puntuale commento si trova in Sussmann 1994 (cfr. anche Aizpurua 2005), con dovizia di raffronti con gli altri corpora declamatori conservati (Seneca il retore e le due raccolte pseudoquintilianee). Lo studioso sottolinea la particolare frequenza di motivi e di riferimenti legali e istituzionali legati al mondo romano, che – pur nella compresenza dei consueti tratti greci – farebbero di Calpurnio appunto ‘il più romano’ dei declamatori latini a noi noti (Sussman 1994; Lentano 1999).
Sotto il profilo stilistico, molto ricco è l’ornato: «especially striking is the large number of figures, freely used throughout, most notably anaphora, allitteration, apostrophe, asyndeton, chiasmus, irony, metaphor, personification, repetition of words (especially verbs) in the same or grammatically variant forms, word play, and zeugma» (Sussman 1994, pp. 10-11 e n. 36). L’autore doveva certo possedere un’apprezzabile cultura letteraria, come indicano anche i suoi debiti – oltre che, naturalmente, con la tradizione retorica e declamatoria – con i principali poeti, quali i commediografi, Virgilio, Orazio, Ovidio, nonché, a quanto sembra, anche Lucano e Stazio (Sussman 1994). Una specifica attenzione è stata dedicata al rapporto che il corpus sembra intrattenere con un sostrato paremiografico (Balbo 2017).
Nel quadro di una linea di ricerca che ha di recente investito in modo più ampio e generale il mondo della declamazione romana, anche il corpus di Calpurnio Flacco si è venuto progressivamente rivelando preziosa «fonte di prima mano per ricostruire mentalità e modelli culturali» (Lentano 1999, p. 571; cfr. Dinter-Guérin 2017, pp. 1 e 8). Si pensi, per fare solo qualche esempio, al modo in cui Calpurnio trattava la tradizionale controversia relativa a un soldato di Mario, con le connesse problematiche di moralità sessuale (la n. 3 del suo corpus: Schneider 2007), o all’ampio ventaglio di credenze geo-etnografiche e di questioni filosofiche e scientifiche comportato dalla declamazione n. 2, sulla matrona accusata d’adulterio per aver partorito un bimbo di colore (Lentano 2020; cfr. Sanders 1996; Balbo 2019). [F. Giannotti]