Edizione di riferimento:
Anonyme latin, Traité de Physiognomonie, Texte établi, traduit et commenté par Jaques André, Paris 1981 (Collection des Universités de France).
Il trattato, adespoto e incompiuto, è uno dei pochi testimoni pervenuti dell’arte praticata in antico di dedurre dai tratti somatici il carattere e i comportamenti di un individuo. È databile alla seconda metà del IV secolo e del suo autore si possono dire poche cose: era probabilmente pagano e non conosceva molto bene il greco, perché commette alcuni errori nel riportare le sue fonti (André). L’opera è una compilazione da tre opere di fisiognomica greche, come l’anonimo autore dichiara all’inizio del suo scritto: ex tribus auctoribus quorum libros prae manu habui, Loxi medici, Aristotelis philosophi, Polemonis declamatoris, qui de physiognomonia scripserunt, ea elegi quae ad primam institutionem huius rei pertinent et quae facilius intelligantur. Losso, medico greco di assai incerta datazione, ci è noto, oltre che per le notizie fornite dal nostro Anonimo latino, solo da una menzione di Origene. Ci è pervenuto invece il trattato attribuito ad Aristotele, che è in realtà epitome di due manuali diversi, prodotti della scuola peripatetica, e costituisce per noi la prima trattazione sistematica della materia. Perduta è l’opera del retore Antonio Polemone, che costituisce la fonte principale del trattato latino, composta tra il 133 e il 136 d.C.: di essa rimane una tarda traduzione araba e una epitome greca, redatta da Adamanzio nel IV secolo d.C. Spesso citato dagli autori antichi, sappiamo che Polemone nacque a Laodicea, studiò retorica a Smirne e fu poi in rapporti di amicizia con l’imperatore Adriano; alcune lettere di Frontone ci informano che declamava a Roma nel 143. L’Anonimo latino si propone di fornire una sorta di introduzione alla materia, con le nozioni più semplici (ad primam institutionem … quae facilius intellegantur), ed è sempre molto onesto nell’attribuire a ciascuna delle sue fonti ciò che le appartiene: ci informa che Losso riteneva che il sangue fosse la sede dell’anima e che dalla sua maggiore o minore fluidità dipendessero le caratteristiche fisiche degli individui, mentre gli altri due autori pensavano che il rapporto tra anima e corpo si basasse su una relazione di συμπάθεια. La trattazione distingue segni maschili (caratterizzati da impeto, vigore, magnanimità) e segni femminili (indicanti scaltrezza, invidia, debolezza), indipendentemente dal sesso dei portatori di quei signa (par. 10), e procede per la sua gran parte in un ordinamento a capite ad calcem, con interesse rivolto soprattutto ai tratti del viso (parr. 12-73). Alcuni paragrafi sono dedicati ai movimenti, alla respirazione, alla voce, al colore (parr. 74-80). Al metodo anatomico si affianca poi quello zoologico, basato sulla somiglianza degli uomini con diversi tipi di animali, di cui riprodurrebbero il carattere (parr. 118-132). Pochi cenni sono dedicati al metodo etnologico, che istituisce un rapporto tra le caratteristiche fisiche di un individuo e i difetti o le qualità della popolazione di appartenenza. Il trattato si interrompe nel momento in cui l’autore si accinge a riferire delle possibilità anche di predizione del futuro che, secondo Losso e Polemone, si ricavano dalla fisiognomica (par. 133). Due codici del secolo XII (Leodiensis 77 e Berolinensis q. 198) tramandano l’opera senza il nome dell’autore, mentre alcuni codici più tardi la indicano come una traduzione chi dell’una chi dell’altra delle sue fonti. L’attribuzione ad Apuleio, che ebbe una certa fortuna, risale a V. Rose. [R. Tabacco]