Edizione di riferimento:
I. Müller-Rohlfsen, Die lateinische ravennatisctische Übersetzung der hippokratischen Aphorismen aus dem 5./6. Jahrhundert n. Chr ., Textkonstitution auf der Basis der Übersetzungscodices, Hamburg 1980.
Il cosiddetto Hippocrates Latinus presenta una traduzione completa degli Aphorismi. Gli Ἀφωρισμοί, raccolta disorganica di massime e precetti disposti in sette sezioni (Littré 1844, pp. 458-609; recente traduzione italiana in Carena 2020, pp. 379-424; cfr. Fichtner 2016 pp. 21-23), sono una delle opere del Corpus Hippocraticum che, probabilmente proprio per la natura di prontuario di facile consultazione e immediata applicazione pratica, ha conosciuto nell’Antichità, e soprattutto nel Medioevo, maggior fortuna e diffusione. “Più che a una raccolta di precetti, preparata man mano da Ippocrate e pubblicata così imperfetta dopo la sua morte, si è indotti a pensare a una specie di memoriale, nel quale una scuola o un circolo di medici ha annotato le osservazioni e le conclusioni di esperienze ormai assodate” (Beccaria 1961, p. 7, studio che resta tuttora capitale punto di riferimento: cfr. Vázquez Buján 2008, nota 3).
La traduzione latina tardoantica si lascia ricostruire grazie a cinque principali manoscritti, la cui dettagliata descrizione si trova in Beccaria 1956 (rispettivamente pp. 291-293, 166-173, 150, 188-189, 183-185) e 1961, pp. 5-7:
Mutinensis O.I.11 (s. VIII-IX, ff. 25r-36v);
Parisinus 11219 (s. IX, ff. 1r-11v, 212r);
Parisinus 7021 (I) (s. IX, ff. 2r-18r), con un frammento in 7021 (II) (s. X, ff. 1r-1v);
Vendocinensis 172 (s. XI, ff. 1v-11r);
Rotomangensis O.55 (fine s. XI; ff. 195r-198v, 215r-222v, 199r, 201v).
Su questi codici ha fissato il testo degli Aphorismi l’edizione di Müller Rohlfsen 1980 (cfr. Vázquez Buján 1986b, 1993, 2010). Ad essi si è aggiunto poi un frammento risalente all’XI secolo, che comprende gli aforismi 3,21-41,1 con qualche lacuna (il cosiddetto Fragmentum Ahlquistianum, edito da Haverling 1995). Ma è soprattutto importante sottolineare che in alcuni dei manoscritti citati (Parisinus 7021 e Vendocinensis 172; nel Rotomangensis O.55, f. 195r, figura solo l’introduzione) e poi in un’ampia serie di altri codici (cfr. Beccaria 1961, pp. 26-29, Vázquez Buján 1993, p. 77), è tramandato, in misura varia e con diversificazioni, anche un commento, che Beccaria distingue da altri commenti seriori con la definizione “commento antico” e che la successiva tradizione filologica ha preso a designare come “Lat A”. Tale commento sembra doversi collocare cronologicamente tra fine VI e inizi VII secolo. Infatti, secondo Beccaria 1961, pp. 41 e 58-59, esso mutuerebbe una definizione dell’aforismus da Isidoro di Siviglia Etymologiae IV 10, cui sarebbe pertanto posteriore, ma per Vázquez Buján 1984, pp. 675-76, nulla ci assicura che non possa essere il contrario.
Lat A va tenuto in adeguata considerazione a fini critico-testuali, come sottolineano numerosi studi di Vázquez Buján (1986b, 1993, 1993b, 1994, 2008, 2010), che da tempo lavora all’edizione di questo commento.
Beccaria 1961 ha ipotizzato che tanto l’antica traduzione quanto, in ultima analisi, anche l’antico commento degli Aphorismi, così come le altre traduzioni del corpus Hippocraticum che costituiscono l’Hippocrates Latinus, dovessero risalire all’ambiente di una scuola medica attiva in Ravenna nel VI secolo. La sua teoria ha fatto scuola, soprattutto in Italia, dove è stata sviluppata da vari interventi di Innocenzo Mazzini, ma ha conosciuto anche riserve e dissensi, soprattutto da parte di Vázquez Buján (vd. Hippocrates Latinus, scheda autore).
L’antica traduzione cosiddetta ‘ravennate’ non rimase comunque la sola, così come si formarono altri commenti agli Aforismi (Beccaria 1961, pp. 63 ss.). Una versione da essa divergente sembra per esempio affiorare in uno dei molti manoscritti medievali che conservano estratti degli aforismi, il Parisinus 11218, studiato da Fischer 2003 e Vázquez Buján 2018. [F. Giannotti]