M. Iuniani Iustini Epitoma historiarum Philippicarum Pompei Trogi; accedunt Prologi in Pompeium Trogum, edidit Otto Seel, Stutgardiae 1972 (Bibliotheca Scriptorum Graecorum et Romanorum Teubneriana).
L'Epitoma historiarum Philippicarum di Giustino è il compendio tardo di una più ampia opera storiografica di taglio universale, scritta da Pompeo Trogo probabilmente in età augustea o tiberiana. Notizie circa i contenuti dell’opera di Trogo e la tecnica epitomatoria di Giustino si trovano nella Prefazione, dove egli dice che Pompeo Trogo aveva composto una storia della Grecia e di tutto il mondo in lingua latina “affinché anche le vicende della Grecia si potessero leggere nella nostra lingua, proprio come è possibile leggere la nostra storia in lingua greca”, e aggiunge: “di queste vicende ho scelto quanto più meritava di essere conosciuto, e, tralasciato ciò che non era piacevole a conoscersi né necessario come esempio, ne ho fatto, per così dire, un piccolo florilegio”. Dunque più che di un compendio sarebbe corretto parlare di un'antologia di passi ritenuti da Giustino degni di essere conosciuti. Secondo Leonardo Ferrero, l'epitome rappresenterebbe pertanto "la più diretta, compiuta ed organica silloge dei frammenti trogiani”. Si ritiene che essa riproduca circa un quinto dell'opera originale.
Le Historiae Philippicae rappresentavano una novità assoluta nella letteratura di Roma, poiché erano la prima storia universale mai comparsa in lingua latina, come appunto Giustino sottolinea. Esse si componevano di 44 libri ed abbracciavano le vicende dei singoli popoli e dei loro domini a partire da età molto remote, con particolare attenzione, come il titolo segnala, all’ascesa e caduta dell’impero macedone, emblema del processo della translatio imperii, la teoria dell’inevitabile successione degli imperi universali, che per Trogo pare regolare il divenire storico. La narrazione inizia con le vicende dell’impero assiro, a cui seguono quelle dei Medi, sostituiti poi dai Persiani, a loro volta costretti a cedere l'imperium ai Macedoni. Dalle rovine dell'impero di Alessandro sorge l’impero dei Romani, che condividono il governo del mondo con la nascente potenza dei Parti, a cui, sembra sottintendere Trogo, presto Roma dovrà soccombere. Questo sottinteso ha alimentato il dibattito della critica sulla reale o presunta misoromanità di Pompeo Trogo: certo è che nel quadro complessivo dell'opera la posizione di Roma rimane del tutto secondaria e marginale. La valutazione del valore di storiografo di Trogo è però compromessa dall'intervento giustineo che, rivolgendo la sua attenzione in modo particolare a episodi poco noti e di carattere aneddotico, opera spesso dei tagli poco felici che compromettono la comprensione complessiva sia delle vicende, sia del metodo storiografico dell’originale. Ne risulta così un'opera disomogenea, composta da una giustapposizione di racconti in prevalenza di intrighi di corte, assassinii, re sanguinari e regine terribili; un’antologia di aneddoti curiosi che probabilmente ha determinato la grande fortuna del compendio nel medioevo. [A. Borgna]