Edizione di riferimento: FIRA, II, (J. Baviera) 2a ed., Firenze 1968, 541-589
La Collatio legum Mosaicarum et Romanarum (secondo il nome con cui l’opera divenne nota a partire dall’editio princeps cinquecentesca) o Lex Dei (secondo il titolo riportato dai testimoni manoscritti) è una breve raccolta di brani di diritto mosaico e frammenti di testi giuridici romani posti a confronto. L’opera è tramandata in forma anonima e fu probabilmente realizzata in età teodosiana (su datazione e autore vd. infra).
La Collatio è organizzata in sedici titoli ed ha una struttura molto lineare (vd. Frakes 2011, pp. 99-123): ogni titolo si apre con una citazione tratta dal Pentateuco secondo la Vetus Latina (vd. Frakes 2007a), cui l’autore fa seguire una serie di passi provenienti dalle opere di giuristi romani, con l’intento di metterli a confronto e dimostrarne la compatibilità (vd. Jacobs 2006). I titoli riguardano rispettivamente: (1) l’omicidio; (2) il danno alla persona; (3) la crudeltà nei confronti degli schiavi; (4) l’adulterio; (5) l’unione illecita di persone dello stesso sesso; (6) l’incesto; (7) il furto; (8) la falsa testimonianza; (9) l’invalidità delle testimonianze rese da familiari; (10) i beni dati in deposito ad altre persone; (11) il furto di animali; (12) gli incendi dolosi; (13) lo spostamento di un confine con conseguente furto di terra; (14) il rapimento; (15) astrologi, maghi e Manichei; (16) la successione legittima. Aspetti specifici della legislazione contenuta nella Collatio sono al centro di una serie di monografie di Francesco Lucrezi, dal titolo Studi sulla Collatio (Lucrezi 2001-2020; nei nove studi finora pubblicati Lucrezi si è occupato dei titoli 3, 4, 5, 10, 11, 12, 13, 15, 16).
Per quanto riguarda i termini cronologici entro cui collocare la Collatio (vd. Frakes 2011, pp. 35-65), la prima citazione esplicita risale all’860 ed è contenuta nel De divortio Lotharii regis et Theutbergae di Incmaro di Reims (Responsio 12); allusioni a questo testo si possono però già rintracciare negli atti di alcuni concili di VI secolo della Chiesa merovingia (Orléans 538; Tours 567; Mâcon 585). A proposito invece del terminus post quem, siccome l’autore si servì di raccolte di leggi della fine del III secolo come il Codex Gregorianus (291-292) e il Codex Hermogenianus (293-294), l’opera è certamente da collocare dopo il 294.
I dibattiti riguardanti il periodo di composizione (su cui vd. il quadro tracciato da Barone Adesi 1992, pp. 7-17) sono legati soprattutto alla presenza nella Collatio di una costituzione emanata nel 390 da Teodosio, Valentiniano e Arcadio (Coll. 5.3). Infatti, fino ad inizio Novecento gli studiosi (vd. soprattutto Mommsen 1890) collocavano la realizzazione della raccolta tra il 390-394 e il 438, anno in cui venne emanato il Codex Theodosianus che non è mai citato esplicitamente nella Collatio (anzi, Cod. Theod. 9.7.6 riporta una versione abbreviata di Coll. 5.3, che quindi non dipenderebbe dal Codex). Tuttavia, a partire dal seminale studio di Edoardo Volterra (vd. Volterra 1930), molti iniziarono a ritenere Coll. 5.3 un’interpolazione (si tratterebbe infatti dell’unico riferimento ad una legge di fine IV secolo a fronte della restante normativa che data tutta ad almeno un secolo prima) e a collocare l’opera in età costantiniana o precostantiniana (vd. Rabello 2002).
Attualmente la critica tende a ritenere Coll. 5.3 autentico e a datare la Collatio in età teodosiana (vd. Cracco Ruggini 1983; Lucrezi 2001-2020; Frakes 2002; Frakes 2011), anche se non si è ancora giunti ad un’opinione condivisa. Ad esempio, siccome il compilatore dell’opera cita solo cinque giuristi che coincidono con i cinque della cosiddetta “Legge delle citazioni” del 7 novembre 426 (Cod. Theod. 1.4.3; si tratta di Ulpiano, Gaio, Modestino, Paolo, Papiniano), è stato proposto di datare la Collatio dopo questa data (Schrage 1993; Lucrezi 2001-2020, che però propone di datare la Collatio dopo il 439, ravvisando in Coll. 5.3 un’allusione al Codex Theodosianus). Robert Frakes ha invece suggerito di datare la Collatio tra il 392 e il 395 (Frakes 2002; Frakes 2011, pp. 51-65).
Molto discusse sono anche l’identità dell’anonimo autore e, soprattutto, la sua fede (vd. i quadri tracciati da Barone Adesi 1992, pp. 17-21; Frakes 2011, pp. 124-149). Fino agli inizi del Novecento, gli studiosi erano concordi nel ritenere che si trattasse di un giurista cristiano, ma fu nuovamente Volterra a mettere in discussione questa ipotesi: egli sosteneva infatti che l’autore fosse un ebreo esperto del Talmud, il quale, attraverso la Collatio, avrebbe voluto illustrare i precetti del Giudaismo alle élites pagane di Roma. La tesi dell’ebraicità dell’autore della Collatio ha trovato sostenitori (vd. Rabello 1967; Cracco Ruggini 1983; Rabello 1989; Barone Adesi 1992), ma ha anche suscitato le critiche di studiosi secondo cui non vi sono ragioni cogenti per pensare che egli fosse di religione ebraica (Smits 1934; Schulz 1936; Lauria 1989; Frakes 2006; Frakes 2011). Frakes ritiene che l’autore sia un avvocato cristiano che alla fine del IV secolo operava in Italia e che con la Collatio cercò di esporre ai suoi colleghi pagani i principi della sua religione (Frakes 2006; Frakes 2011, pp. 149-151).
Sono giunti fino a noi tre manoscritti completi della Collatio: il Berlin, Staatsbibliothek, Lat. fol. 266 (B; IX sec.), il Vercelli, Biblioteca Capitolare, 122 (V; X-XI sec.) e il Wien, Österreichische Nationalbibliothek, 2160 (W; X-XI sec.). Fritz Schulz definì i rapporti tra i tre codici in questo modo (vd. Schulz 1946): da un antigrafo α discendono direttamente B e il subarchetipo β, da cui furono copiati V e W. Frakes ha successivamente approfondito le ricerche di Schultz (Frakes 2007b; Frakes 2011, pp. 36-51) includendo nello stemma due estratti dell’opera conservati nel Codex Bellovacensis Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 9652 (Bellov.; IX sec.) e nel manoscritto Roma, Biblioteca Vallicelliana, B.11 (Vallicell.; XI sec.; non B.II, come riporta Frakes, che trae l’informazione da Mommsen 1890, pp. 113-114 e Hyamson 1913, p. xxvi), e un apografo tardo realizzato da Giuseppe Scaligero (Scal.; Leiden, Bibliotheek der Rijksuniversiteit, Scal. 61; 1570 ca.). Vallicell. e Scal. deriverebbero da B, mentre Bellov. sarebbe stato copiato da un perduto antigrafo γ, a sua volta discendente di α come B e β.
Il codice B fu riscoperto dal dotto francese Pierre Pithou, che nel 1573 curò l’editio princeps della Collatio. Le più recenti edizioni critiche sono state pubblicate da Theodor Mommsen all’interno della Collectio librorum juris antejustiniani in usum scholarum (Mommsen 1890); da Philipp Eduard Huschke, nella revisione di Emil Seckel e Bernhard Kübler (Huschke 1908); da Moses Hyamson, con traduzione inglese, ampia introduzione e note di commento (Hyamson 1913); da Giovanni Baviera nel secondo volume dei Fontes Iuris Romani Antejustiniani (Baviera 1968; si tratta della revisione curata da Giuseppe Furlani della seconda edizione di questo tomo, datata 1940). [G. Cattaneo]