Edizione di riferimento:
FIRA, II, (ed. J. Baviera) 2a ed., Firenze 1968, 681-710.
L’Edictum Theoderici regis è una raccolta di leggi attribuita al re Teodorico il Grande, sovrano del regno ostrogoto in Italia dal 493 al 526. Il corpus comprende leggi e regolamenti che riguardano sia il diritto pubblico sia il diritto penale e processuale. È senz’altro singolare la storia editoriale di questa raccolta di disposizioni giuridiche: l’editio princeps fu pubblicata per le cure del brillante giurista e umanista Pierre Pithou nel 1579 sulla base di due manoscritti che poi, per ragioni ignote, scomparvero senza lasciare traccia; stando alla descrizione da lui fornita nella praefatio, essi contenevano una miscellanea di testi tardoantichi e in effetti l’Edictum è proposto all’interno di una ricca congerie di opere tratte da Cassiodoro, Ennodio e Giordane, accanto a diversi testi giuridici di varia provenienza. L’Edictum fu attribuito al regno di Teodorico perché lo spirito delle leggi contenute presuppone l’osservanza del ius publicum e delle leges Romanae, e soprattutto perché le norme contenute vincolavano sia i Goti sia i Romani, conformemente al disegno politico che Teodorico aveva provato ad attuare durante il suo lungo regno. Allo stato attuale delle ricerche, gli storici del diritto e della storia romana non sono tutti propensi ad accettare l’attribuzione del corpus all’età di Teodorico, e si oscilla tra varie posizioni: secondo l’ipotesi più cauta, esso sarebbe da attribuire alla volontà normativa non di Teodorico il Grande, ma di Teodorico I re dei Visigoti (in carica dal 419 al 451); altri sono propensi ad accettare una collocazione ai primissimi anni del VI secolo; l’ipotesi più estrema, argomentata da alcuni critici, è quella secondo cui il testo sarebbe un abile falso di età medievale, se non addirittura uscito dalla penna dello stesso Pithou. In mancanza dei due manoscritti, la questione non sembra poter essere risolta in maniera definitiva; una posizione più attenta alle stratificazioni del testo è quella proposta da Orazio Licandro, che riconosce e individua, all’interno di questa raccolta nata da una compilazione desultoria e non sistematica, una serie di nuclei tematici disparati, ascrivibili a un prontuario messo insieme da un anonimo giurista di VI secolo; a questo testo composito fu in seguito dato un crisma di autorevolezza con l’attribuzione a Teodorico. Il testo, costruito secondo una dinamica di aggregazione e consolidamento pluridirezionale, fu probabilmente opera di un anonimo giurista romano, poiché romano è il punto di vista con cui sono presentate le disposizioni, che dividono tra Romani e barbari (mentre Teodorico, nelle Variae di Cassiodoro, ci tiene a rimarcare la distinzione tra i Goti, ormai compiutamente civilizzati, e l’indistinto universo barbarico). Il silenzio della Pragmatica Sanctio giustinianea sull’Editto – come quello di Cassiodoro, di Procopio di Cesarea e dell’Anonimo Valesiano – è stato preso come una prova indiretta del fatto che esso non poteva provenire dalla cancelleria regale, ma era un testo di uso privato; lo stesso disordine tematico che caratterizza la successione delle leggi porta a non ritenere il testo come frutto di una regia centrale, dal momento che personaggi come Cassiodoro, Boezio o Simmaco, profondamente competenti in questioni di diritto, sarebbero sicuramente stati interpellati dal re e non avrebbero permesso che il testo fosse lasciato in questo stato. L’Edictum si apre con un breve prologo, è composto da 154 capita ed è chiuso da un breve epilogo; è possibile individuare sei gruppi tematici: 1) Diritto giudiziario; 2) Reati contro la pace pubblica; 3) Reati contro la proprietà; 4) Reati contro le donne e l’onore domestico; 5) Disposizioni sul testamento e la donazione; 6) Norme diverse. [D. Di Rienzo]